Lui che mi fa diventare matta.
Lui che mi illude di poter aprire insieme nuove pagine e poi, invece, alla prova dei fatti, giriamo sempre attorno alle stesse vecchie cose. Perdendo tempo, io più di lui. Chiedendomi perché il destino mi abbia affidato proprio lui.
Lui: così infantile, inaffidabile, antiquato.
Dio, quanto lo odio!
Io cerco disperatamente di comunicare con lui nel modo più gentile, chiaro, corretto, trasparente, giuro. Mi sforzo, ci provo ogni giorno, ma lui niente!
È come se parlassimo due lingue diverse: fa solo quello che gli pare, anzi, la cosa peggiore è che non soltanto non mi ascolta e non collabora – rendendo la nostra quotidianità un inferno in cui silenzi micidiali e micidiali bestemmie si alternano armoniosamente – ma spesso mi dà la sensazione di essere paralizzato, bloccato, senza una volontà e un minimo di razionalità. Sembra sempre che la sua clessidra giri a vuoto.
Sì, lo confesso: almeno una volta al giorno, se non di più, mi tocca spegnere e riaccendere il computer del mio ufficio.
Il 386 Olivetti su cui scrissi la tesi di laurea era molto più affidabile, nella sua povertà di mezzi.
Perché, perché, perché mi tocca lavorare con un simile ammasso di ferraglia?!?