Lo scriveva Cechov: in una storia ci sono due poli, lui e lei. Niente di davvero difficile, vero? Sembra la cosa più semplice del mondo; in fondo siamo circondati da “lui” e “lei”.
Allora quando inizi a scrivere, scrivi di un lui e di una lei. Se pensi che ti sia utile, indossa anche un paraocchi, come quelli che usano per i cavalli, in modo da costringerti ad avere occhi sono per quei due poli.
Non c’è altro da fare.
Sì certo, poi ci saranno i dialoghi, l’ambientazione, lo sviluppo della storia, il finale, e tutto il resto. Però è indispensabile avere un poco di dimestichezza con queste due creature.
Avere dimestichezza significa che nei loro confronti occorre per prima cosa fare un passo indietro. Se incontriamo qualcuno, se facciamo la sua conoscenza, non possiamo certo sommergerlo con il nostro ego ingombrante. Dovremo al contrario cercare di mantenerci a una distanza tale che ci permetta di apprezzarlo, e lo stesso dovrebbe accadere a lui.
Si crea una relazione, ma anche tra personaggi e autore accade qualcosa di molto simile.
Il fatto che siano “di fantasia” non vuol dire niente. Semmai proprio per la loro natura “particolare”, pretendono più attenzione e rispetto, una cura quasi certosina per ogni dettaglio.
L’autore esordiente viceversa, almeno all’inizio, non ha niente del genere. Si muove come un elefante in una cristalleria, crede di avere solo diritti e nessun dovere, poiché “ha una storia da scrivere”. D’accordo, ma cosa significa avere una storia da scrivere? Niente. Pura fuffa.
È un’espressione che spesso e volentieri si usa come una sorta di lasciapassare, un grimaldello con cui ci illudiamo di non incontrare ostacoli che possono farci deragliare dal nostro obiettivo. La storia, appunto.
È una specie di sipario dietro al quale amiamo nasconderci. Si apre il sipario (prima o poi è necessario farlo, certo), e cosa troviamo? Mah!
Se l’autore esordiente ha un po’ di talento, comprende l’errore e ci pone rimedio. Scopre che se stesso non è affatto un inviato dagli Dei per svelare chissà quale verità agli esseri umani che vivono nelle tenebre. Non è nemmeno il genio incompreso che credeva sino a poco prima, anzi; comprende che probabilmente se non lo pubblicano, lo hanno compreso benissimo.
È solo una persona più sfortunata degli altri, perché ha un talento, che però non è ingoiare spade, sbucciare banane coi piedi o rompere noci di cocco a testate. Questi sono tutti “talenti” tangibili: li vedi e dici, sì bene, bravo, bis.
L’esordiente scrive, ha questo talento forse, e non sa cosa farci. Qualcuno dice che scrive come le capre. Qualcun altro dice che scrive bene; tira un sospiro di sollievo e subito i dubbi lo assalgono come fiere affamate di carne fresca. Non è quasi mai certo del giudizio proprio o altrui soprattutto quando è positivo. Ed se è negativo, egli è certo che sia quello giusto.
Eppure, continua a scrivere di lui e lei.