Nel suo comizio di ieri Silvio Berlusconi è tornato, per l’ennesima volta, a cavalcare quello che è da sempre uno dei suoi temi preferiti nella sua ventennale battaglia contro la magistratura di questo Paese.
Ha infatti accusato i magistrati italiani di essere titolari di un potere assolutamente sproporzionato rispetto ai titoli in virtù dei quali ne sono venuti in possesso.
Cosa sono infatti, per Silvio Berlusconi, i magistrati italiani se non dei semplici impiegati dello Stato, detentori di un enorme potere acquisito solo per aver vinto un concorso pubblico?
Vorrei prendere spunto da questo argomento per far notare che, quanto meno, l’ingresso in magistratura avviene sulla base di un criterio oggettivo (a meno che non ci si trovi di fronte al solito concorso truccato).
Nulla si dice però su quelli che sono i criteri adottati dai partiti/movimenti politici di questo Paese per selezionare quelli che vengono poi pomposamente definiti “rappresentanti del popolo”, sia che questi vengano “nominati” dal vertice del partito/movimento sia che vengano “eletti” (si fa per dire) dal popolo.
Si badi bene a questo proposito che anche quando i cittadini-elettori vengono chiamati a scegliere (in latino eligere) il loro candidato (e non invece semplicemente a barrare con una X una delle tante caselle presenti in una scheda elettorale), quella che viene fatta passare per una loro libera scelta (una scelta, per essere effettivamente tale, deve essere libera, priva di condizionamenti) è in realtà una scelta vincolata, essendo infatti limitata ai candidati che risultano presenti in lista.
E chi l’ha compilata questa lista, se non il partito/movimento, vale a dire un gruppo di privati cittadini, i quali in tal modo esercitano un potere condizionante (potere peraltro acquisito non si sa bene come), di gran lunga superiore a quello esercitato dai cittadini-elettori?
Se ci si stupisce del potere che viene esercitato da chi ha semplicemente vinto un concorso, a maggior ragione ci si dovrebbe stupire del potere, ancora più grande, che viene esercitato da chi (non si capisce in possesso di quale merito, di quale competenza) fa le leggi che poi i magistrati sono chiamati ad applicare.
P.S.
Chi dice di volersi occupare di come funziona la macchina giustizia in questo Paese, per renderla più efficiente, più al servizio del cittadino, farebbe bene a tener conto che la situazione nella quale questa si trova è quella evidenziata dalla posizione occupata dal “Bel Paese” nella classifica “Doing Business 2013″, messa a punto dalla Banca Mondiale.
In questa classifica, stilata sulla base della durata di una normale controversia di carattere commerciale, l’Italia occupa, tra i 185 Paesi presi in esame, il posto n. 160.
I problemi di cui soffre il nostro Paese sono, purtroppo, ben più seri di quelli di cui ci si interessa da vent’anni a questa parte, complice un’informazione asservita a quei poteri che impediscono un reale cambiamento.