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Ma gli immigrati ci rubano davvero il lavoro?

Creato il 12 aprile 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

In una visione della realtà piena di convenzionalismi e di (errate) convinzioni, nate sulla base della percezione diffusa delle difficoltà sociali, appaiono doverose alcune smentite.

L’Italia ed il suo popolo hanno sempre vissuto il concetto di integrazione e avvento dell’immigrazione come una concreta problematica di sottrazione e riduzione delle opportunità lavorative. Questa convinzione si è profondamente accresciuta anche alla luce delle strumentalizzazioni di alcuni partiti politici, abili nel cavalcare il timore della crisi mondiale, cominciata nel 2007, che già si configura storicamente come la grande crisi del ventesimo secolo.

Invero, tale crisi ha coperto maggiormente gli immigrati rispetto agli italiani, e li ha colpiti in maniera ben più drastica. Oltre al fatto che si è ripercossa maggiormente nei confronti dei stranieri, ancora maggiori sono state le difficoltà per chi vive irregolarmente nel nostro Paese ed è costretto a subire le conseguenze di un altrettanto drammatico fenomeno: il lavoro sommerso, con lo straniero sottopagato e sottoposto ad inaccettabili condizioni di vita. Proprio il cosiddetto lavoro nero è principale motivazione di un aumento delle difficoltà lavorative e del peggioramento delle condizioni economiche degli immigrati: gli irregolari spesso e volentieri vivono in una abominevole situazione di schiavitù di altri tempi, non degna della società civile attuale. Si consideri che il potere contrattuale del lavoratore immigrato, specie per chi appunto non è in possesso del permesso di soggiorno, è praticamente inesistente.  Oltretutto, un immigrato regolare che perde il proprio lavoro rischia di perdere quel tanto famigerato permesso e di tornare in una pericolosa situazione di irregolarità, che rischia di spegnere definitivamente le proprie legittime ambizioni di benessere interiore, personale e familiare.

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Photo Credit: Guglielmo Celata / Foter / CC BY-SA

1/Immigrati al lavoro. Nota semestrale sul mercato del lavoro dei migranti in Italia (Dicembre 2014)

Il rapporto semestrale della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione delinea i tratti fondamentali del mercato del lavoro europeo, ponendolo a confronto con il mercato del lavoro degli stranieri presenti in Italia. Come riportato nella parte iniziale della relazione, il dato costante è l’aumento del numero degli stranieri nel mercato del lavoro. Nota assolutamente positiva ma che nel Belpaese mostra le difficoltà legate alla casella occupazione. L’Italia, secondo il rapporto, sarebbe l’unico tra i Paesi considerati (Germania, Francia, Spagna, Regno Unito) a conoscere una diminuzione generale dell’occupazione: «Ancora una volta è l’occupazione straniera a sostenere il mercato del lavoro italiano». Ciò che invece non sembra accadere in Francia, dove si verifica la tendenza opposta: sarebbe la componente nativa a fungere da traino sotto il profilo occupazionale. Mentre in Regno Unito, Spagna e Germania la dinamica dell’occupazione mostra sostanziali equilibri tra cittadini comunitari e non, in Italia la situazione è dunque peculiare.

Ciò sarebbe dovuto principalmente alla diversità delle caratteristiche della domanda lavoro richiesta. Gli immigrati sopperiscono difatti a settori di scarsa attrattiva per la popolazione italiana, specie nel caso di servizi domestici e di assistenza. Tale sostituzione garantisce competitività nel mondo del lavoro, in settori di fatto maggiormente scoperti e spesso dimenticati: trattasi dei cosiddetti settori “non esposti al ciclo economico”. L’aumento dell’occupazione straniera è  evidente ma non trova correlazioni ad una sottrazione del lavoro agli autoctoni. Un’altra delle cause legate a questo fenomeno è il progressivo invecchiamento della nostra popolazione in età lavorativa (senza gli immigrati saremmo un popolo di anziani), che si accompagna paradossalmente ad una sempre più drammatica difficoltà relativa alla disoccupazione giovanile,  i cui recenti dati sono indiscutibilmente sconcertanti.

2/Immigrati al lavoro. La sovraqualificazione come annullamento della competizione immigrati-autoctoni

Tornando indietro di due anni, emblematica è la relazione del Cnel (in via di abolizione a seguito del progetto di riforma costituzionale del Governo Renzi) del Novembre 2012. Attraverso l’organo consiliare O.N.C (Organismo Nazionale di Coordinamento Politiche di Integrazione sociale degli stranieri) viene analizzata la possibilità di eventuali effetti salariali e occupazionali che potrebbero scaturire dall’arrivo degli immigrati in Italia e dalla loro immissione nel mercato del lavoro. È infatti statisticamente possibile che questo possa accadere in misura massiccia e creare una compromissione dei salari medi. Ma è altrettanto reale la possibilità di complementarietà e assimilazione tra lavoratori autoctoni e lavoratori stranieri. Logica vuole infatti che, se un immigrato copre un settore scoperto e poco appetibile, non andrà minimamente ad inficiare le opportunità lavorative altrui. Verrebbe così meno la sbandierata contrapposizione straniero-autoctono ed i profili di concorrenza.

Il diverso livello di competenze è la causa principale per cui molto difficilmente si delinea una omogeneità di salario tra immigrati e autoctoni nei diversi settori. A ciò va aggiunto il fenomeno della sovraqualificazione, che pone l’immigrato in una situazione di disparità tra la propria occupazione lavorativa e il proprio grado di istruzione. Questa tendenza, secondo il documento del Cnel, colpirebbe appunto i lavoratori stranieri in misura maggiore rispetto ai nativi, anche se questi ultimi non sono estranei a detta ipotesi. Ciò che ne viene fuori, in ogni caso, è un ulteriore dato di scarsa assimilazione tra lavoratori. Va inoltre considerato che la crisi ha spinto gli italiani a riconsiderare quei settori finora ignorati in quanto poco appetibili. La differenza tra i due gruppi di lavoratori è rappresentata appunto dalle modalità attraverso le quali la sovraqualificazione danneggia lo straniero. Le discriminazioni, nella maggior parte dei casi, sono poi possibili a causa di una regolamentazione non sempre idonea alla lotta contro le purtroppo frequenti vessazioni del mercato del lavoro.

Accade così che gli immigrati non rubino il lavoro, perché l’effetto concorrenza – dovuto alla retribuzione più bassa, anche a causa della predetta sovraqualificazione –  viene ad annullarsi attraverso l’emarginazione da parte dei datori di lavoro e le regole confusionarie stabilite di volta in volta dai vari governi. Quest’ultima fattispecie, soprattutto italiana, ha portato ad una mancanza di stabilità politica e dunque di progetti concreti e duraturi, che potessero essere testati nel lungo termine, sul mercato del lavoro. Lo dimostra il rapporto istruzione-retribuzioni che, contrariamente a quanto avviene per gli italiani, non trova molto spesso alcuna correlazione logica. È assurdo come uno stipendio di un lavoratore straniero in possesso di diploma sia equivalente a quello di un italiano con licenza elementare. Questa sperequazione è segno che troppo poco si è fatto in l’Italia per un vero processo di integrazione, con una ampia fetta di stranieri sempre più emarginati e ridotti a situazioni di devastante povertà. Ciò che il documento delinea, in sintesi, è il minimo o del tutto assente potere contrattuale dell’immigrato, costretto spesso a doversi rifugiare nelle buie stanze del lavoro nero, nonché l’incapacità italiana di valorizzarlo come possibile risorsa sotto l’aspetto economico. Ma qual è il rapporto tra diritto del lavoro e immigrazione? Lo straniero gode attualmente degli stessi diritti (già peraltro precari) del lavoratore italiano?

3/Immigrati al lavoro. Tra integrazione e sommerso

L’ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), ente nazionale di ricerca sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro, ha presentato nel nel Giugno 2014 una relazione estremamente interessante. Durante il convegno intitolato “Il lavoro sommerso e irregolare degli stranieri in Italia”, frutto di una accurata indagine basata su 3000 interviste a lavoratori prevalentemente non regolari di sei regioni italiane, l’ISFOL ha mostrato come il primo periodo di lavoro sia per gli immigrati il più rischioso: chi non si stabilizza può andare incontro una successiva e permanente situazione di irregolarità, con un elevato rischio di sfruttamento. I dati riguardanti l’impiego degli immigrati mostrano inoltre la loro elevata volatilità: solo il 44 % dichiara di avere un lavoro a tempo indeterminato, a fronte di un cospicuo 39% alle prese con un lavoro occasionale. Altra tendenza frequente è quella che viene definita “scarring effect”, l’effetto cicatrice. Il suo significato è molto semplice: la condizione iniziale di partenza ne condiziona i futuri scenari e le speranze di aspettative migliori. La soluzione sta dunque in nuove regole del diritto del lavoro capaci di combattere il sommerso e adeguate politiche di regolazione dell’immigrazione.

Criminalità organizzata, carente senso di legalità, eccessiva pressione fiscale e tassazioni alle stelle sono tra le principali cause di questo indegno mercato discriminatorio. Il circolo vizioso che viene ad innescarsi è quello di una immigrazione clandestina sempre più frequente, attraverso la quale il lavoro in nero cresce e si alimenta ulteriormente. Quindi in Italia sarebbe molto più facile trovare lavoro, ma in nero. L’incertezza del futuro, curiosamente, spinge una vasta porzione degli intervistati ad ammettere di non sapere se il proprio processo migratorio possa terminare con un rientro in patria o meno. L’estrema fragilità del sistema lavoro, specie se legato allo sconfinamento nell’irregolarità, rischia di costringere l’immigrato a valutare il rientro nella propria terra d’origine. La voglia di fare, lentamente, è sostituita dalla rassegnazione e della sfiducia in una regolarizzazione contrattuale delle proprie prestazioni lavorative. Basti pensare che il 43,6 % degli intervistati coinvolti nel sommerso rivela che in caso di violazione dei diritti non si rivolgerebbe a nessuno e il 24,5 % lo farebbe ma non saprebbe a chi. Pesa in questo senso la mancanza di interlocutori validi e di tutele adeguate.

4/Immigrati al lavoro. Il fenomeno migratorio e l’Italia multietnica: le leggi degli ultimi anni in materia

L’attuale crisi economica non può legittimare disparità e fare in modo che il diritto resti fermo a guardare. Così come, del resto, non può fare a meno di considerare il fenomeno migratorio distinguendo tra forme regolari e illegali e reprimendo l’immigrazione clandestina,e rispettando al tempo stesso i diritti umani internazionali. Occorre dunque un’attenzione sulle strategie politiche di gestione dei flussi migratori, in un contesto collettivo che coinvolga necessariamente l’Europa e non solo l’Italia. La nostra nazione resta, secondo il rapporto 2013 sull’immigrazione del Ministero del Lavoro, il Paese europeo che registra la crescita più significativa di migranti dal 2002: + 211%, con un aumento dal 195% al 211% nel giro di due anni (2011-2013). Questo dato testimonia l’avvento di una società sempre più diversificata e multietnica, con il problema lavoro che persiste dal 2003. Forse proprio questo spaventa l’opinione pubblica: mai come negli ultimi quindici anni l’Italia è stato un Paese multietnico, come sono state, per via del passato coloniale, Francia e Gran Bretagna.

Questa repentina evoluzione ha spinto il legislatore a colmare gli evidenti vuoti normativi in materia. L’unica legge cui era possibile far riferimento era il Testo Unico della Pubblica Sicurezza del 1931, accompagnata da una serie di circolari contrastanti e perciò di difficile collocazione. Il primo intervento legislativo vero e proprio è datato 1998. Si tratta della famosa legge 40 (Turco-Napolitano), poi confluita nel Testo Unico in materia di immigrazione. Il testo, tuttavia, demanda al Governo l’attuazione e concretizzazione dell’evoluzione legislativa. Importanti le novità dell’impianto base della norma: su tutte l’istituzione della Carta di soggiorno (poi sostituita dal permesso di soggiorno europeo), la quale avrebbe offerto la possibilità dopo cinque anni di regolare soggiorno di soggiornare stabilmente ed a tempo indeterminato in Italia, salvo gravi motivi di ordine pubblico. La Carta si estende anche a coniugi e figli minori e prevede norme su ingresso, respingimento, lotta

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G. Fini, uno dei firmatari della legge 89/2002 . Photo credit: Italian Embassy in Washington DC / Foter / CC BY-ND

all’immigrazione clandestina e divieto di espulsione per diritto di asilo (garantito dalla Costituzione al comma 3 dell’art. 10) e altre motivazioni particolari (es. gravidanza) attraverso l’art.19, rivisto dalla poi D.L 89/2011 e da altri numerosi interventi degli anni 2000. I diritti fondamentali garantiti fanno capo alla salute, con iscrizione al Servizio Sanitario per chi soggiorna regolarmente (per motivi di lavoro, familiari, asilo, attesa adozione e acquisto di cittadinanza), e chiaramente allo studio, altro diritto costituzionalmente garantito. La legge Turco-Napolitano, poi confluita nel Testo Unico, venne rivista dalla Bossi-Fini, ossia la legge 89/2002. Si tratta di una legge fondata su un inasprimento delle pene ed una più drastica lotta all’immigrazione clandestina, che prevede requisiti specifici per la concessione del permesso di soggiorno. In merito alle pene nei confronti dell’espulso che continua a soggiornare irregolarmente, diversi tribunali hanno più volte sollevato questioni di legittimità costituzionale, poi ritenute non ammissibili dalla sentenza della Corte Costituzionale 22/2007. In ogni caso, la relazione 2006 di Amnesty International ha evidenziato la carenza della norma sotto il profilo del diritto d’asilo e del tema dei rifugiati per ragioni politiche legate al paese di appartenenza.

Più recenti gli interventi normativi degli anni 2008-2009, sotto l’ultima maggioranza di centrodestra. Il 2008 è l’anno della presentazione del “pacchetto sicurezza” dell’allora ministro Maroni, con la previsione della clandestinità come aggravante in caso di reato, la reclusione fino a 6 anni in caso di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale e la condanna da sei mesi a tre anni per chi rende disponibile un immobile a chi è privo di permesso di soggiorno. La legge 94/2009 rivede invece alcuni aspetti relativi al favoreggiamento di ingresso irregolare, nel tentativo di combattere le speculazioni della criminalità organizzata, che spesso ha in mano il controllo della situazione dei clandestini e li costringe ad attività di tipo illecito e sottopagato. Il reato di clandestinità è stato poi messo in discussione recentemente dall’approvazione in Senato dell’emendamento M5S sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina. L’elevatissimo numero di provvedimenti legislativi in materia tuttavia genera un caos giuridico nel quale la Bossi-Fini risulta praticamente smantellata. Ciò non giova ad una unitarietà che consentirebbe una ventata di chiarezza e trasparenza. Il presidente Renzi, ad inizio Marzo 2015 ha parlato della necessità di evitare allarmismi sulla questione ma è evidente che il programma Triton debba essere rafforzato, con un’opportuna sollecitazione del nostro Paese alle istituzioni europee. Sotto il profilo nazionale appaiono infine indispensabili una revisione della legislazione in materia lavoristica e di regolarizzazione delle frontiere.

Tags:diritti,Immigrazione,integrazione,Italia,lavoro

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