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...ma solo se siete disposti ad abbandonarvi al delirio!

Da Suster
Tanto per.
Se non tenessi il passo alle rubriche settimanali probabilmente non riuscirei a scrivere nulla di nulla sul blog, ultimamente.
Quindi, eccomi all'appello del venerdì del libro (un po' tardiva, come sempre).
Non avendo preparato nessun libro di pupa, e visto che ho da poco fatto fuori questo, ecco che lo ripropino a voi!
Sperando che non seguiate il mio consiglio, e non vi ritroviate a maledirmi dicendovi: "Ma che caspita vuol dire 'sta roba? Mai più ascoltare un consiglio di Suster!"
...ma solo se siete disposti ad abbandonarvi al delirio!
Titolo: Il cardillo addolorato
Autore: Anna Maria Ortese
Editore: Adelphi, 1997
In effetti ho letto in giro tali e tanti commenti negativi, stroncature, recensioni incazzose e acidelle, che mi sono quasi chiesta se per caso non fossi io un pochino strana, o malata, fate voi,  a farmi piacere questa roba.
Succede che uno vaga a casaccio per la propria città e che per caso, una mattina come un'altra, che si è liberato del fardello della dolce frugoletta, mollandola al nido, entri in libreria, e che poi, sbirciando tra l'usato senza niente cercare e anzi con l'imperativo morale di NON comprare NIENTE, si ritrovi per le mani un libro di cui si fa una certa idea, scorrendone sommariamente le prime pagine, e che invece poi si riveli essere tutt'altra cosa, ma che lo stesso si ritrovi poi, una volta concluso, nell'impossibilità di iniziare qualsiasi altro libro in suo possesso, perché ancora immerso in questo inquietante universo, un po' onirico e un po' fiabesco, in cui la narrazione ondeggia tra la critica distaccata e sardonica al genere umano e la più profonda disperazione, in cui inizi leggendo di principi artisti e mercanti in viaggio di piacere in un'allettante cornice di una Napoli di fine Settecento e ti ritrovi a leggere di folletti e spiriti, duchi negromanti e uccelli del malaugurio, in cui la prosa oscilla tra la divertita parodia di arzigogolate atmosfere neoclassiche e la maestosità drammatica della tragedia greca.
E in fondo ti accorgi che a volerlo riassumere non saresti proprio in grado, e per la verità continui a non capirci molto, nella storia.
Però ti è piaciuto, e inizi a cercare spasmodicamente altri libri della stessa autrice, anche se sai che stai per entrare in un tunnel senza ritorno.
E poi ti ritrovi in biblioteca per la prima volta in vita tua, illuminata dalla scoperta che a pensarci bene non è mica detto che tu debba acquistare e possedere tutti i libri che hai voglia di leggere, e ciò è bene.
E allora perché non condividerlo con qualcun altro, che magari apro a qualcuno una possibile strada per l'illuminazione?
Lo so che non dico molto di questo libro, e le indicazioni che dò ad eventuali aspiranti lettori non son molte, ma ho già elargito sproloqui altrove e non vorrei ricominciare qui.
La Ortese è grande narratrice dell'inespresso e dell'inesprimibile, di quello che cova sotto le sembianze della normalità, delle ambivalenze dell'animo umano e dei drammi individuali.
Diciamo per sommi capi: un libro enigmatico, che non dà troppe risposte e che comunque non quelle che uno si aspetta all'inizio; un libro che ti porta altrove da dove ti aveva fatto credere in partenza; che si preannuncia lieto e si rivela tragico, dove la Storia si mescola all'illusione e alla leggenda, e la luce diurna si fa visione sotterranea e dove ti sembra di perdere continuamente il filo.
E ora che lo metto nero su bianco, magari mi riesce di archiviarlo, finalmente!

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