P. Picasso, Arlecchino pensoso (1901),
New York, Metropolitan Museum
Qualcuno si starà chiedendo come mai abbia dedicato questa settimana al tema del clown, dato che il post di due giorni fa aveva come argomento
Le opinioni di un clown di Heinrich Böll. Nonostante si possa pensare che sia stato il libro ad ispirare il post artistico, in realtà è il contrario: avevo in mente un momento dedicato alle rappresentazioni di acrobati, saltimbanchi e mascheranti di Picasso e Seurat, ma ho deciso di posticiparlo al termine di una lettura che era da anni nelle mie intenzioni. Le situazioni di realizzazione e i contenuti delle due serie di opere - la narrativa e i dipinti - sono lontane e diverse, ma si riconducono entrambe alla riflessione novecentesca sull'identità, sul ruolo sociale dell'artista, sulla solitudine e l'emarginazione. Non è un mistero che per molte persone circo e clown siano sinonimi di malinconia.Le rappresentazioni rarefatte del mondo circense non fanno che acuire tale sentimento, sia che siano ottenute attraverso la tecnica puntinista di Seurat, sia che l'effetto sia prodotto dalla pennellata tersa e sfumata del Picasso del 'periodo rosa'.
G. Seurat, Il circo (1890-91),
Parigi, Musée d'Orsay
I soggetti di
Gerge Seurat (1859-1891) ispirati al circo coincidono con gli ultimi anni della sua vita e inaugurano una fase artistica ben diversa dalla ricerca coloristica e luministica esemplificata al massimo livello da
Una domenica alla Grande Jatte: l'effetto armonico ricercato attraverso l'accostamento di punti di colore viene bruscamente rifiutato in favore di composizioni prive di realismo volumetrico, composte attraverso l'intersezione di linee spezzate e appiattite sia dal punto di vista della distribuzione per piani sia da quello cromatico: tele come
La parata del circo (1887) o, ancor di più,
Il circo (1890-1891), appaiono come la negazione del
naturalismo e la volontà di evidenziare la finzione artistica, tanto che «Seurat sembra voler esprimere l'artificiosità della vita moderna attraverso una serie di elementi che saranno puntualmente ripresi dalle Avanguardie espressioniste cubiste e futuriste» (Zanchetti). Se nel caso del primo dipinto la scansione composta in linee ortogonali, unita ai colori scuri e alle pose del personaggio in primo piano, suggerisce che il tempo della rappresentazione sia come bloccato in un istante eterno, in una condizione di eterna immobilità e solitudine, il dinamismo de
Il circo, con la figura dell'acrobata che occupa il centro della tela allargando le braccia su un pubblico statico, suggerisce una triste contrapposizione fra l'entusiasmo giocoso e forzato dei saltimbanchi e l'indifferenza degli spettatori, in un clima di incomunicabilità che è fra i temi ricorrenti dell'arte e della letteratura di
Fin de siècle.
G. Seurat, La parata del circo (1888), New York, Metropolitan Museum
L'isolamento e l'emarginazione sono ancor più evidenti nell'opera di
Pablo Picasso (1881-1973), che, fra gli anni 1905 e 1907 dedica diversi dipinti al motivo degli acrobati e dei saltimbanchi (ma il motivo ritorna anche negli anni successivi), con i quali stabilisce quasi un legame empatico. Dopo il pessimismo imperante nelle figure del periodo blu (1901-1904), si afferma un patetismo più delicato e quasi collocato al di fuori del tempo.
P. Picasso, Due acrobati con cane (1905),
New York, Museum of Modern Art
Il momento di passaggio fra i due stili è costituito dalle rappresentazioni di maggior evidenza drammatica di
Due acrobati con cane e
Acrobata e giovane equilibrista, datati 1905. Si tratta di composizioni in cui prevalgono i colori freddi, che accentuano il distacco e la sofferenza interiore dei protagonisti delle due tele, in entrambi i casi un adulto e un giovane, come a sottolineare l'eterno ritorno della loro condizione, di una malinconia e di una solitudine che si trasmettono come una gravosa eredità genetica.
P. Picasso, Acrobata e giovane
equilibrista (1905), Mosca,
Museo Puškin delle belle arti
La ricca sfilata di personaggi provenienti dal mondo circense, carnevalesco e teatrale tocca uno dei massimi vertici espressivi dell'arte di Picasso con
Saltimbanchi, un'opera corale e transgenerazionale, visto l'abbondante numero di personaggi, la presenza di maschi e femmine e di personaggi di diverse fasce d'età, dai fanciulli acrobati all'attempato giullare in tuta rossa.L'autoidentificazione, da parte dell'artista, con l'arlecchino di spalle che tiene la mano alla bambina facilita la partecipazione diretta dello spettatore, che vede rappresentata di fronte ai propri occhi una condizione umana, l'allegoria di una situazione di solitudine e isolamento che non coinvolge solo l'artista, che nel primo novecento si sente sempre più inutile e privo di aureola (basti pensare alla poesia crepuscolare e alla visione del
poeta-saltimbanco di Palazzeschi), ma tutta la società: di fronte ai fasti della nascente società di massa ogni singolo essere umano è annichilito, messo da parte, solo con se stesso. Un'età di splendore e sviluppo che, come le luci e i colori del circo promette divertimento e benessere, ma che, ugualmente, cela, dietro la maschera e la biacca, enormi voragini emozionali.
P. Picasso, Saltimbanchi (1905), Washington, National Gallery of Art
Decisamente defilato dal punto rispetto a Seurat e Picasso ma doveroso da citare per il fascino della sua produzione è
Marc Chagall (1887-1985). Le atmosfere oniriche e fantasiose che caratterizzano il suo stile ritornano anche nella raffigurazione delle scene circensi che, come molta parte della produzione di Chagall, affondano le radici nelle esperienze vissute dal pittore durante l'infanzia.
M. Chagall, I tre acrobati (1926),
collezione privata
I tre acrobati (1926) sembrano quasi una rivisitazione dei trittici di figure di Picasso, anche per il costume a rombi colorati che indossa il monumentale personaggio centrale. Quest'ultimo, inoltre, ricorda le gerarchie dimensionali medievali, in cui il protagonista di un dipinto (solitamente il santo da cui deriva il titolo) è ritratto con misure sproporzionate rispetto alle figure ausiliarie, ma, in un'ottica infantile, possiamo ravvisare in questa scelta la presenza di quell'abitudine tipica dei bambini ad ingigantire l'oggetto del loro fascino, dimenticando tutto quanto sta attorno ad esso: è come se le acrobazie rendessero chi le pratica tanto eccezionale da catalizzare tutta l'attenzione e la meraviglia dell'artista che si riscopre fanciullo e invita il suo spettatore a regredire alla semplicità infantile. Quella di Chagall, dunque, appare come un'opera entusiastica e spensierata, ma, ponendo al centro del suo dipinto la fantasia e il sogno, l'artista ci suggerisce comunque quel sentimento di malinconia che caratterizza il recupero di ogni ricordo intenso e giocoso.
"Ma i vagabondi chi sono, dimmi, quei fuggitivi
un poco più di noi stessi, che incalza dai primi giorni,
che torce un volere non mai placato?"
R.M. Rilke, Elegie duinesi
C.M.