Mandava a governare le province individui che o erano gli stessi complici dei suoi vizi o gli erano stati raccomandati da delinquenti
Non poteva sopportare, fra coloro che erano stati assunti per vigilare sulla sua vita, le persone che si distinguevano per la loro integrità, mentre si teneva cari tutti i peggiori soggetti, e quando gli furono tolti, ne soffrì la mancanza sino ad ammalarsi. [...] Creò in permanenza nel Palazzo bettole e taverne, né mai si fece scrupoli di pudore o di spesa. Raccolse donnine di particolare avvenenza come schiave prostitute, creando un vero e proprio lupanare, un oltraggio alla pudicizia. [...] Licenziò i funzionari più anziani di suo padre, allontanò i suoi vecchi amici. [...] Tutte le persone più oneste le allontanò o coprendole direttamente di insulti infamanti, o degradandole ad uffici del tutto indegni di loro. Certi commedianti avevano fatto allusione alle sue perversioni sessuali: egli li fece subito deportare così che non si vedessero più in scena. [...] E se fino a giorno fatto si ubriacava e gozzovigliava dissanguando le risorse dell'impero romano, anche durante la sera vagava tra le bettole recandosi nei postriboli. Mandava a governare le province individui che o erano gli stessi complici dei suoi vizi o gli erano stati raccomandati da delinquenti. [...]Perenne, poi[...], lo persuase a dedicarsi completamente ai suoi divertimenti, mentre lui si assumeva le cure del governo; ciò che Commodo accettò con entusiasmo. Vivendo dunque secondo questo accordo, se la spassava nel Palazzo gozzovigliando tra banchetti e bagni in compagnia di trecento concubine, che aveva radunato scegliendole fra le matrone e le meretrici per la loro bellezza, e di giovanetti pervertiti, anch'essi in numero di trecento, che aveva raccolto a viva forza o comprandoli, tanto fra il popolo quanto di mezzo alla nobiltà, e avendo quale criterio di scelta l'avvenenza. [...] A causa della sua trascuratezza, poiché coloro che gestivano allora l'amministrazione dello Stato rubavano persino sui rifornimenti annonari, ebbe anche a scoppiare a Roma una grave carestia, benché non ci fosse deficienza di prodotti. [...] Alla sua morte Cingio Severo disse: "E' stato indebitamente seppellito. Come lo dico io quale pontefice, così lo dice tutto il collegio dei pontefici. E poiché ho già esaminato le note liete, passerò ora alle misure da prendere: io giudico che tutto ciò, che colui che non è vissuto che per la rovina dei cittadini e la propria degradazione costrinse a decretare in suo onore, debba essere fatto sparire. Le statue, che sono dappertutto, devono essere abbattute, e il suo nome deve essere cancellato da tutti gli edifici pubblici e privati, e i mesi debbono essere chiamati coi nomi con cui erano chiamati allorché primamente quella calamità piombò sullo Stato". (da Commodo di Elio Lampridio)