di Giampiero Cardillo
Durante tutto il mese di luglio scorso si sono toccati i minimi di tolleranza diplomatica tra Italia e Germania, in particolare tra Renzi e Manfred Weber, Presidente del Gruppo Parlamentare Europeo del PPE.
Weber aveva redatto una “agenda” tutto rigore e niente flessibilità per il nuovo Commissario Europeo Juncker, smentendo timide aperture avanzate dalla Merkel, in vista del voto che avrebbe poi portato Juncker al vertice della Commissione Europea.
Le polemiche Renzi-Juncker, all’indomani del ripensamento francese circa un patto anti-rigore abbozzato con l’Italia, dopo le minacce inglesi di abbandono dell’Europa e a seguito delle vicende giudiziarie che oggi coinvolgono lo stesso Junker per malversazioni fiscali lussemburghesi, sembrano avere un seguito pesante e pericoloso all’innegabile, crescente scollamento europeo. Ognuno sembra voler divergere in libertà dal comune destino che ci unisce, in una confusione centripeta gravissima all’interno della peggiore crisi mondiale mai registrata dal secondo dopoguerra.
Si deve parlare, perciò, di un deficit consistente nelle comuni o condivisibili idee guida per l’Europa Unita di oggi.
Faccio notare che il PPE, pur con i suoi 221 eurodeputati è il più forte Gruppo Parlamentare in Europa, ed è, curiosamente, la rappresentazione parallela dello stallo ideologico-operativo patito dal centro-destra Italiano. Ma è in una situazione contro-reciproca di quella in cui si trova il PD Italiano e il PSE Europeo.
Infatti:
-il PPE è contemporaneamente definito “Cristiano Democratico”, “Conservatore Liberale” e “Conservatore”. Dal centro verso destra il PPE, come la generica area di centro-destra Italiana, accoglie idee-guida che appaiono simili, ma non sovrapponibili all’interno di coalizioni formali di governo e, meno che meno, in caso di “necessari” patti informali di varia natura all’esterno di esso con il PSE;
-il PSE si trova nella medesima condizione, anche se rovesciata verso sinistra.
Nell’identica privazione di idee guida forti si trova ciò che resta delle formazioni politiche Nazionali, aggravata dalla perdita del “valore” degli apparati politici dei vari Paesi UE. Questo “valore” è trasferito in Europa (e nella “Troika” – BCE, Commissione EU, FMI – la quale ha assorbito gradatamente anche molte “competenze”, non ultima la sorveglianza bancaria passata dalle Banche Nazionali alla BCE).
Nel convegno alla presenza di Weber si è parlato di questo, ma soprattutto dei partiti di centro-destra, di quello Europeo e di quelli Nazionali, che soffrono di notevoli contraddizioni e divisioni.
È bene ricordare che le radici culturali del PPE derivano in gran parte dal popolarismo sturziano e i suoi rappresentanti dovrebbero essere i coerenti promotori dei principi e dei valori dell’Economia Sociale di Mercato, metodo che non ha ancora dispiegato tutta la sua carica innovativa e di potenza civilizzatrice dei popoli.
Il PPE soffre dei vuoti ideali che derivano dalle necessità di continui cedimenti “a sinistra”, in nome della governabilità, che lascia liberi gli istinti egoistici di Stati che si auto-referenziano come guide indiscutibili, ma all’esterno della solidarietà e della sussidiarietà, mentre la loro sorte appare invece sempre più strettamente legata al successo comune e la loro immunità da vizi e difetti sembra sempre più inconsistente, anche se meglio celata da una efficienza e competenza amministrativa lodevole e innegabile.
Accade spesso, come in questo convegno, di invocare quelle idee-guida spesso tradite e reclamare la presenza di grandi uomini di Stato, capaci e coerenti con quelle idee.
Appare necessaria una selezione accurata dei provvedimenti di politica economica per renderli coerenti con una visione cristiana della società, dove venga rispettata la centralità e la dignità della persona, al di sopra e, necessariamente, contro le contabilità finanziarie globaliste, che sembrano essere, per “accettato” principio, intoccabili, come divinità pagane che hanno in odio l’umanità.
In questo confuso scenario europeo, Manfred Weber, Presidente del Gruppo Parlamentare Europeo del PPE, ha incontrato nei giorni scorsi importanti personaggi del mondo politico italiano e del Vaticano, partecipando anche all’incontro promosso dalle Fondazioni Adenauer e De Gasperi presso la splendida Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma (ex culla e sede storica della più potente massoneria italiana, laddove vide la luce nel 1901 con Ernesto Nathan, sede data, poi, in uso al Senato). Sono stato invitato dalla Fondazione Adenauer e sono intervenuto nel dibattito come rappresentante dei Popolari Liberi e Forti.
Nei loro interventi di apertura, Antonio Tajani, primo Vice Presidente del Parlamento Europeo, e Pier Ferdinando Casini, Presidente della Commissione Esteri del Senato, hanno invitato Manfred Weber a fare ogni sforzo per alzare il livello ideale, politico e morale del dibattito europeo e per abbassare i toni della inutile e intempestiva polemica tra Stati virtuosi e non virtuosi.
Weber ha innanzitutto ricordato che Adenauer, in un momento di tensione nei rapporti con De Gaulle, gli fece constatare un fatto sorprendente e in un certo senso per noi oggi consolante: se alla fine della seconda guerra mondiale fosse stato organizzato un referendum sulla creazione o meno di una Comunità Europea, il 95% dei votanti – secondo Adenauer – avrebbe respinto questa grande opportunità di pace e di sviluppo economico-sociale.
È pertanto incoraggiante, secondo Weber, che oggi il consenso degli europei nei confronti dell’UE – pur non essendo alto – sia certamente molto maggiore di quello del 1945, quando ancora prevaleva l’odio e la disperazione del dopoguerra. A suo parere, in sintonia con l’intervento di Maria Romana De Gasperi, oggi l’Europa soffre di una drammatica carenza di grandi statisti, di livello simile a quelli degli anni 50. Oggi vi sono molti uomini politici, ma non grandi statisti capaci di motivare e portare i popoli europei verso un’era di pacifica crescita civile ed economica.
Comunque nel suo intervento Weber ha accolto l’invito ad una maggiore considerazione di tempi i più opportuni, diversi per ciascun Stato membro, che occorrono per migliorare competenza, legalità, ordinamenti e organizzazione generale dei propri apparati pubblici e privati, in modo da omogeneizzare livelli di competenza, tempi e metodi amministrativi con quelli degli altri partner. È di tutta evidenza che non c’è spazio per fughe in avanti di nessuno, come non c’è spazio per immobilismi inammissibili.
Weber ha citato come modelli di Paesi europei virtuosi agli occhi della finanza internazionale, la Finlandia e la Danimarca, che, secondo uno studio della Banca Mondiale, assieme alla Gran Bretagna occuperebbero i primi posti fra i paesi Europei classificati come migliori, da dove poter quindi attirare investimenti della finanza internazionale.
Nel mio breve intervento ho fatto notare che i metodi di selezione della Banca Mondiale hanno a che fare più con i paradigmi della economia finanziarizzata che con la visione della Economia Sociale di Mercato, dove lo “sviluppo” equivale a “incivilimento”, come insegnava la Rerum Novarum. L’indifferenza qualitativa dei principia seguiti dalla Banca Mondiale si sovrappone poi a quella quantitativa e a quella storico-critica. Una vera trappola ideologica e mediatica, cui contrapporre il “sogno” europeista di sistemi economici con l’uomo al centro, con la sua dignità, proprio come recita la Costituzione tedesca. Infatti la Danimarca conta appena 5.556.442 abitanti, mantiene la Corona come moneta, ha 314.889 milioni di dollari di PIL che la colloca al 38° posto nel mondo, ma al 6°per PIL pro-capite per l’esiguità del divisore povero di popolazione ed è con l’EU solo dal 1973, assieme a Irlanda e Inghilterra.
La Finlandia conta più o meno i medesimi abitanti, un PIL di 247.646 milioni di dollari (è 44° nel mondo) e un Pil pro-capite che lo colloca al 16° posto. Della contraddittoria vocazione europeista di un pur grande e straordinario Paese come la Gran Bretagna siamo tutti consapevoli, a partire dalla mancata adozione dell’Euro, anche in questi giorni di minacciato abbandono della nave in difficoltà, di un Paese al centro dell’economia finanziarizzata e globalizzata, nonché paradiso fiscale planetario, con la sua efficientissima City di Londra al centro del traffico commerciale internazionale di qualunque cosa.
Ho ricordato che il PIL italiano, di un Paese fondatore della Comunità e dell’UE, ammonta a ben 2.014 milioni di Euro e occupa l’8° posto nel mondo e il 26° per PIL pro-capite con una popolazione da amministrare di più di 60 milioni di persone e una relativa altissima quota di contribuzione a favore del sodalizio europeo, che certo mal recupera in benefici per imperfetta capacità e competenza amministrativa, favorendo amministrazioni più snelle e veloci, anche in ragione più ridotte quantità in gioco che caratterizzano il loro sistema-paese.
La grave polemica contro presunti crimini finanziari e fiscali perpetrati in Lussemburgo sotto la guida di Juncker, ci dice poi che la peggior nemica dell’Europa, l’economia mafiosa, di cui siamo indiscussi campioni, non sussisterebbe così forte e impunita se non ci fossero luoghi, anche nella “Europa dei Virtuosi”, dove pulire il mal profitto e investirlo, senza o quasi pagar tasse.
Ho registrato un consenso unanime per le parole di speranza e realismo di Manfred Weber, che assieme a tutti i convenuti ha contribuito a far sì che le parole più pronunciate da tutti fossero “Sogno Europeo” e la necessità più invocata fosse “l’essere guidati da Grandi Statisti”, come quelli che fondarono l’Europa sulle ceneri di una guerra.
Una invocazione che denota una sana dose di coraggiosa auto-critica.
È un buon segno.
Anzi, un ottimo segno, secondo me.