(Paolo Volponi)
quante volte, dopo cena, l’ho spiato
dai vetri della casa, in fondo al Pincio
sulle mura, da dove monti e valli
dominava. e c’era un vento gelato
furioso come pochi. rassettava
la Giovina, impagabile, in cucina
mentre Paolo, nel tinello, armeggiava
col tele e l’insonnia. lottava. lottava.
*
(Franco Scataglini)
Ancona, di notte, s’apre, ha scenari
luminosi, se ti inerpichi o se sali
a San Ciriaco, come a volte in estate
in attesa di salpare per i mari
slavi o per la Grecia. e c’è vita, ai fari
ai moli, ai lampioni, ai riverberi
che accendono le acque scaglie a scaglie
(tu sorridi, su profili letterari)
caro Franco, ci vedemmo, in Ancona
quella estate. stavi bene, eri sereno,
riconciliato al mondo, e alle altre marche.
quella sera, dopo la lettura,
bevemmo tutt’assieme con Francesco
e Massimo, la dolce tua Rosella,
Umberto, Claudio , e Loi, era l’altro Franco.
ti chiamai Maestro, e tu, ridesti tanto
*
(per Marisa Zoni ai funerali di Volponi)
“te ne sei andato precedendo Franco,
in quel maledetto ‘novantaquattro”
il giorno delle esequie, si era in quattro
a renderti amore. bandiere rosse
pochi amici, in ordine sparso. “fosse
per i meriti, non sarebbe bastata
una piazza a contenerli”, dicevano.
dov’era la città? dov’era Urbino?
*
(Luigi Di Ruscio)
la vista micidiale che da Fermo
si gode. da lì, esule, sei partito
irato mai fermato, marchigiano
yiddish, Luigi, la lingua, il tuo idioletto
incoercibile Palmiro fermano
libero battitore rimbalzato
per internet. tu, che da più lontano
punti la penna, prendi più vicino
*
(Eugenio De Signoribus)
Ripatransone, Cupramarittima.
più a sud, dove s’incontrano le lingue, o
contaminano, irta, su discrimini o
confini, la marca ha lunghi nomi.
là, resiste, come a una frontiera,
esile forte Eugenio, alla riviera.
“volgi lo sguardo oltre il quieto Adriatico”
“nel nostro respiro restando”, etico
*
(Franca Mancinelli)
lei, che guarda a una costa di Sassonia,
che prende e porta pietre alla marina,
come una sera, o un’alba, entra in laguna
volto giovane di donna, velo, oltre il vetro
della stanza, cono d’ombra come avvolto
da un lenzuolo. porta peso, nell’incavo
intonacato dello stomaco. Fano,
dove lei ha forma d’acqua e un suono.
*
Manuel Cohen
Cartoline di marca
(istantanee per una koinè?)
2005-2010
MARTE EDITRICE, 2010
Prefazione di Massimo Raffaeli
Postfazione di Francesco Marotta
*
La soglia plurale della restituzione e del dono
Il luogo della poesia è una soglia plurale dove infiniti volti sostano in attesa dell’atto della nominazione, del respiro che nel declinare inesorabile del tempo li strappa all’incombente oscura misura del crepuscolo e li restituisce alla comunione dei viventi, a un ordine antico come la sintassi della mente e del cuore, a una lingua fraterna che non soccombe alle ragioni del ricordo e della lontananza ma ne fa sostanza e voce del suo risorgente alfabeto. Un luogo di confine, una “marca”, una linea sottile dove domina l’interrogazione
che strappa immagini e suoni alle labbra del silenzio, frammenti di una libertà che è la testimonianza e il fine di un’identica e radicale appartenenza all’umano: non il malinconico trascorrere di lacerti di assenza, ma la restituzione più piena al mondo, per sortilegio di parola, dell’architettura elementare di ogni esistenza.
Disegnando la mappa in versi del suo cammino singolare, dove ogni pietra, ogni angolo di strada, ogni lembo di un paesaggio familiare e segreto, ogni più intima sensazione è uno sguardo che si offre al rito di una visitazioneantica, all’ascolto mobile di presenze affioranti dal reliquiario di affetti mai sopiti, Manuel Cohen ne prepara l’avvento nell’aperto della condivisione, nell’infinito tendersi di una lingua naturale che chiunque potrebbe adottare, nell’ospitalità di una dimora che qualunque pupilla potrebbe abitare. Egli rivive nei corpi perduti a cui restituisce, insieme alla parola, la misericordia di un gesto, un bisbiglio, un battito di ciglia carico di ironica saggezza o di mistero, l’esercizio filiale di chi ha imparato a sostenere da sempre il peso di ogni ferita e ne tiene con dolorosa levità e dolcezza gli orli slabbrati dalle stagioni: per riconoscersi nell’attimo di una comune vicenda, dove ai superstiti è affidata la voce del sangue, la benedizione del pane condiviso, le stimmate di un esilio e di un’appartenenza senza confini: una radura nella diaspora che ci dissemina, disarmati-mai-vinti, tra “le cose del mondo”.
È un dialogo ininterrotto, esperienziale, fatto di “incontri, letture, apparizioni, amicizie, frequentazioni”, tante tappe di un vissuto che reca le impronte delle possibilità esplorate, nell’inestricabile connessione di stati d’animo, di relazioni, di occasioni, di conoscenze, di legami e saperi che crescono senza calcolo, affidati a una parola trasparente
come un dono, a un grumo sonoro che non richiede chiose alla sua irriducibile dicibilità, ma lascia trasparire e trascorrere tutta la sottile opera di ricucitura che il poeta le affida come un destino: quella di saldare le lacerazioni della lontananza o del distacco, di orientare ogni singola scheggia, in viaggio verso dove, al centro inequivocabile di un mosaico di affetti e radici, di vincoli e memoria, che ha i lineamenti precisi, incancellabili, di chi legge e di chi è letto: di chi scrive e, per ciò stesso, è scritto – dal segno tracciato dalla sua stessa offerta, dalle sillabe dello spazio interiore, colmo di voci, che lo dimora.
agosto 2010
Francesco Marotta
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Nota bio-bibliografica
Manuel Cohen Sulpizio è nato a Miglianico (CH) negli anni sessanta. Ha trascorso la parte fondamentale della sua esistenza a Urbino, quindi Pesaro, Roma e Bruxelles. È cofondatore con Marco Alloni, Salvatore Ritrovato e altri, di «Profili letterari» (1991-96), redattore di «Pelagos» (1991-…), della neo-dialettale «Il parlar franco»(2001-…), di «Ali» (2008-…) e di «Carte Urbinati» (Rivista di critica letteraria dell’Università di Urbino, 2009-…). Suoi versi ed interventi critici (su Baldini, Bellezza, Bellucci, Buffoni, Franzin, Fortini, Guerra, Luzi, Mancinelli, Neri, Pasolini, Piazzolla, A. Serrao, Socci, Volponi, Jabès, Jaccottet, la giovane narrativa d’Israele, appaiono in volumi miscellanei e su riviste («Argo», «L’area di Broca», «Atelier», «DiverseLingue », «Cartolaria», «clanDestino», «Confini», «Contemporart», «Graphíe», «Hortus», «La terrazza», «Origini», «Periferie», «Vivarte », «Verso», «Acte Sud»(Marseille), «Gradiva» (USA), «Sorgue»
(Avignon), «Po&sie» (Bruxelles). Ha curato l’antologia poetica di Umberto Piersanti, Per tempi e luoghi, (Porretta Terme, I Quaderni del Battello ebbro, 1999), gli scritti critici di Franco Loi, Baldini per me, (Villa Verucchio, Pazzini, 2010), i saggi di Maria Lenti, Neodialettali romagnoli e altri dialettali (Villa Verrucchio, Pazzini, 2010); ha redatto i profili critici di Tolmino Baldassari, Gianni Fucci e Nevio Spadoni per l’antologia Poeti romagnoli del Novecento, vol. I, a cura di G. Lauretano e N. Spadoni (in uscia), ha inoltre prefato libri e/opere prime (F. Ballarini, D. Basso, Franzin, Monti, Moscè, Teodorani). In poesia ha esordito nel 1984, segnalato da Mario Luzi, ed ha pubblicato la raccolta di versi Altrove, nel folto (a cura di Dario Bellezza,
Roma, Ianua, 1990). È presente nel web dal 2009 con rubriche fisse su tre litblog: www.rebstein.wordpress.com», con la rubrica di saggi e interventi Repertorio delle voci; «www.lapoesiaelospirito.wordpress.com», con segnalazioni e recensioni in Essere tra le lingue. Viaggio
nell’Italia neodialettale; e «www.marchecultura.com», con recensioni a La nuova poesia nelle Marche.
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Un anteprima del libro è già presente sul blog Rebstein