Pubblicato il 12 novembre 2012 con Nessun Commento
Nel panorama prettamente festivaliero ci sono dei registi che puntualmente spuntano con qualche nuovo film la cui visione sembra relegata prettamente alla kermesse. Le cause sono molteplici e a volte particolarmente curiose: il film è troppo estremo o sperimentale per interessare un pubblico pagante, oppure non è supportato da un adeguato poker di attori o forse è soltanto un brutto film. Il fatto che un opera sia selezionata ad un festival prestigioso non significa automaticamente che sia un capolavoro, anzi il contrario, molto spesso determinati film vengono selezionati proprio per sortire un effetto opposto. Marfa Girl di Larry Clark racchiude tutti gli stilemi del tipico film da festival, nel bene e nel male.
Fotografo, artista sperimentale, e a volte regista, Clark non è il tipo dalle mezze misure: o lo si odia o lo si ama, non esistono vie di mezzo nel giudicare la sua opera, un po’ come accade con Lars Von Trier. Se il regista danese continua nella sua ideologia ad utilizzare il cinema non piegandolo mai a quello che è il suo egotismo, Clark, invece, utilizza la settima arte come un canale preferenziale per il suo, discutibilissimo, modus vivendi, privandolo però della sitassi basilare. Dopo Bully e Ken Park anche questo Marfa Girl non è altro che una discesa negli inferi intimi (diciamo anche umorali) di un gruppo di personaggi che vengono fotografati in un istante delle loro esistenze. Anche stavolta l’oggetto del desiderio registico continuano ad essere gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni, spesso drogati, molto spogliati e alle prese con i loro primi turbamenti sessuali che sfogano in amplessi goffi e molto dettagliati. Il cinema è fatto di regole e di una cosa che probabilmente il regista spesso ignora, ovvero il ritmo. Ed infatti è proprio la mancanza di quest’ultimo che rende un film come Marfa Girl spesso indigesto agli occhi dei più e, quindi, poco fruibile.
Larry Clark dovrebbe aver chiaro in mente che il cinema è un mondo e la video arte un’altra cosa, dove lo sperimentalismo vivo libero e privo di regole. La storia di questi adolescenti, estremamente impregnata di cattolicesimo, è ripresa con assoluta libertà, anche troppa, e spesso gli elementi di maggiore interesse come il rapporto morboso e malato con i genitori, si sfaldano a causa di una sceneggiatura inesistente e slabbrata. In definitiva non rimane molto altro al critico di turno nell’analizzare questo film se non quello di poter dare due linee di valutazione, la prima è quella di positivo apprezzamento verso il coraggio della messa in scena e la caparbietà nel voler continuare a girare, di fondo, quasi sempre lo stesso film, mentre la seconda è la totale negazione dell’idea di cinema che fa si questo genere di operazioni rimangano avulse nella loro stessa idea
“A cura di Katya Marletta con la collaborazione di Gabriele Marcello“