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Mari e Monti, il ricco menù all’italiana

Creato il 27 marzo 2012 da Albertocapece

Mari e Monti, il ricco menù all’italianaLicia Satirico per il Simplicissimus

Il governo Monti è alla frutta? L’immagine è perfettamente coerente con la gastronomia politica degli ultimi giorni. Il cibo si è trasformato in metafora dell’attuale momento storico: evocato per spiegare a un popolo non pronto i sacrifici utili al suo salvataggio e le conseguenze nefaste della sua renitenza, il nutrimento diventa messaggio subliminale, invito allettante, simbolo, sottile intimidazione e allusione sprezzante. Questo è un menu indigesto, fatto di sapori primordiali e austerity, di bocconi amari e fauna ittica, di mitili ignoti e dolci sospetti. Ecco un assaggio dei principali piatti di portata. Ci perdonino in anticipo i palati raffinati e gli estimatori di molli piaceri della gola: questo passa la conventicola.

Polpette. È la fine della riforma del mercato del lavoro temuta da un’assillante Fornero. In attesa di capire se i licenziamenti per motivi economici siano polpetta avvelenata per la ministra o tritacarne per i lavoratori, l’eventuale sopravvivenza parlamentare dell’articolo 18 trasmette una curiosa idea di pienezza e risulta assai meno dispeptica della riforma integrale. La ministra nel frattempo sminuzza e taglia posti di lavoro: il suo macinato è flessibile.

Pasta al pomodoro. Sempre LaFornero ha fatto ricorso alla forza deterrente dei carboidrati per spiegare a un gruppo di precarie l’insostenibilità del reddito minimo garantito: in un paese baciato dal sole per nove mesi l’anno, la gente si adagerebbe mangiando i mitici spaghetti ‘cca pummarola ‘n coppa. L’assenza di welfare sarebbe conseguenza dell’indole fannullona da clima mite, già declinata dal ministro Brunetta nelle sue filippiche contro gli statali: invettive che avevano il pregio di rivolgersi a chiunque, a prescindere dal regime alimentare. Ci chiediamo quali riserve abbia la ministra contro la dieta mediterranea, specie considerando il numero crescente di pensionati che non può più permettersela.

Rombo con verdure. Si tratta del cibo sulle cui spoglie si è consumato il sacrificio dell’articolo 18, tra Camusso ridente, Monti plaudente e Alfano scherzante. Si accompagna a ravioli di pesce, muti e ripiegati su se stessi come Bersani davanti a un boccale di birra.

Cozze pelose. È un mitile dalle forti potenzialità corruttive, che può quindi sperare nelle revisioni imposte dall’Ocse. La sua digestione implica pubblici atti di contrizione misti a dichiarazioni di stupidità. Le neuroscienze stanno studiando i suoi effetti sulle sinapsi dei pubblici amministratori, specie in concomitanza con gare di appalto, nomine di assessori e indulgenza bivalve.

Spigole. Occulto o palese, lo spigolone è un pesce dinamico: si manifesta nelle vasche da bagno dei sindaci rendendole quanto meno inospitali, ma viaggia anche su voli di Stato con ponti aerei organizzati da generali della Guardia di Finanza. La giurisprudenza sulle spigole spazia ormai dalla corruzione al peculato, stracciando in severità quella sull’associazione mafiosa. Chi spigola corrompe anche te: digli di smettere.

Cassata. La sua versione più nota è quella con rinvio, non al mittente ma ai magistrati. Candita da ragionevoli dubbi, è frutto di una laboriosa mistura di sospetti, contraddizioni, pentiti ribolliti, referenti politici e capibastone. Se ne conosce anche una variante modernista con proiettili di cioccolato e marzapane a tradimento.

Pane e acqua. Questa non è un’immagine suggerita dai ministri del governo in carica né da altre vicende. È solo la conseguenza della nuova busta paga di primavera, alleggerita in via retroattiva dalle addizionali Irpef comunali e regionali – che in effetti sono sottrazionali – e falcidiata dagli aumenti di Iva, benzina e costo della vita. Il tutto sullo sfondo dell’Imu, imposta laica e maggiorata come una frequentatrice di villa San Martino. La tagliata di marzo siamo noi: ci hanno accisi.


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