Era un pomeriggio d’autunno del ’93 di un azzurro tenue mischiato al grigio nella tavolozza padana. A Modena Pierferdinando Casini, Carlo Giovanardi e Ombretta Fumagalli Carulli avevano organizzato una conferenza stampa per ufficializzare il loro distacco dalla Democrazia Cristiana di Martinazzoli di cui costuivano la parte più conservatrice. Mentre stavano esponendo le loro ragioni giunse notizia che Silvio Berlusconi inaugurando un centro commerciale a Casalecchio di Reno, pochi chilometri più in là, aveva detto “Se votassi a Roma, la mia preferenza andrebbe a Fini”. Era praticamente la discesa in campo e i peones democritsti in via di scissione non si fecero sfuggire l’occasione: Carlo Giovanardi ruppe il ghiaccio e dichiarò che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa, subito seguito dagli altri. Il berlusconismo era nato tra i carrelli di un supermercato, i giovani marpioni da corridoio della Dc e gli ex fascisti.
Mi sono sempre chiesto se quella contemporaneità fosse stata fortuita o se invece non fosse stata preparata, ma dopo vent’anni importerebbe poco o nulla se non fosse che la sconfitta di Alemanno sembra la fine simbolica di quel disegno che ha inchiodato l’Italia per vent’anni. La conclusione di quella giornata che aveva visto la caduta fragorosa dell’arco costituzionale, lo spostamento a destra di gran parte dei democristiani e una sinistra ancora incastrata e paralizzata sotto le rovine del muro dalle cui macerie uscirà solo sottomettendosi la liberismo.
Ieri con la vittoria di Marino pare di essere simbolicamente dentro un processo esattamente inverso, anche se assai più tormentato e incerto: il sindaco che forse rappresentava di più – psicologicamente, ancor più che dentro i fumosi abbecedari politici – il blocco sociale del berlusconismo con le sue “prassi”, i suoi interessi e le sue cialtronerie ha raggranellato si è no il 15% reale, mentre Fini, pur nell’insuccesso, fu votato nel ’93 da circa il 30 per cento del corpo elettorale . Ed è stato sconfitto da un personaggio marginale rispetto al centrosinistra d’apparato tanto che nemmeno ha voluto mettere il simbolo del Pd nei suoi manifesti. Questo, insieme alla clamorosa diserzione dalle urne, dimostra l’erosione di quella saldatura fra un blocco sociale conservatore che sopravvive a se stesso e un blocco di politica del centrosinistra che si è formato lentamente, ma che ha finito per otturare le arterie economiche ed intellettuali del Paese raggiungendo l’acmè dal 2008 al 2010. Il governo delle larghe intese non è che la sua mummia sotto forma di esecutivo di Palazzo.
Ed è singolare come oggi Berlusconi, se inaugurasse un qualche supermercato, farebbe il suo endorsement per Renzi mostrando come la geografia politica sia profondamente mutata, anche se le carte e le mappe sono rimaste ufficialmente più o meno le stesse riuscendo solo a far incagliare il Paese nelle secche non segnalate. E’ tra questo anchilosato, bugiardo mappamondo italiano e i nuovi paesaggi che si stanno facendo strada tra gli elettori che si dovrà riaggiustare la bussola politica così impazzita che è rischioso uscire di casa per dirigersi verso il seggio.