Pochi sanno che Antonio Gramsci, storico ideologo del Partito Comunista Italiano, osannato e idolatrato dalle sinistre ed entrato (a ragione o a torto) a far parte dell’olimpo culturale italico del ’900, aveva un fratello minore, che lungi dall’essersi tesserato al PCI, fu un fedele fascista della prima ora, e rimase tale fino alla fine, arruolandosi anche nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana.
Come avrete intuito dal titolo, il suo nome era Mario. Mario Gramsci. Diversamente dal fratello, morì in solitudine e dimenticato da tutti, anche per l’opera di cancellazione storica e mistificazione operata dai cosiddetti “vincitori”. Mario venne messo da parte, quasi come fosse una vergogna per la memoria del fratello, seppure il Gramsci di serie “B” non commise mai nella sua vita — almeno secondo i pochi dati storici a disposizione — alcun crimine e alcun reato contro il popolo italico per il quale combatté tre guerre, tranne quello di essere stato fascista convinto fino alla morte.
Come il più famoso fratello, nacque in Sardegna, a Sorgono, nel 1893, dove vi visse fino alla Prima Guerra Mondiale. Si arruolò e combatté per l’Italia con il grado di sottotenente. Quando il conflitto terminò, divenne un convinto sostenitore del Fascismo al quale aderì, partecipando alla marcia su Roma e diventando poi segretario federale del PNF di Varese.
L’adesione al Partito Fascista gli procurò diversi problemi con il più noto fratello. Antonio infatti tentò vanamente di convincerlo a convertirsi al Comunismo, o quantomeno tentò di fargli rinunciare all’ideale fascista. Ma Mario era una persona tutta d’un pezzo. Un forte idealista come lo stesso Antonio, e diversamente dal fratello, era un convinto sostenitore del Fascismo. Perciò non cambiò (mai) idea, nonostante venne pure picchiato e ridotto in fin di vita per questo.
Questa diversità di vedute politiche causò una frattura fra i due, che non verrà mai sanata. Ciononostante, Antonio nel 1927 scrisse dalla prigione una lettera alla madre, esprimendo il desiderio di ringraziare Mario per l’interessamento che aveva avuto in relazione alle sue condizioni di salute. La storia però ci dice che Mario fece qualcosa di più: con altri socialisti convertitisi al fascismo, premettero con il regime affinché l’intellettuale comunista potesse avere le migliori cure e potesse ottenere una prigionia meno pesante. E non a caso, così accadde. Ad Antonio Gramsci venne riconosciuta una sorta di libertà condizionata che gli permetteva una maggiore libertà.
Link Sponsorizzati
Intanto Mario lasciato l’incarico di segretario provinciale del PFN si dedicò al commerciò, almeno fino al 1935, quando decise di partire volontario per la guerra di Etiopia. Avventuriero e convinto sostenitore dell’ideale fascista, combatté anche in Libia fino alla disfatta del 1943. Allora tornò in patria, ma l’Italia stava perdendo la guerra. Mussolini aveva fondato la Repubblica Sociale. Mario Gramsci vi aderì senza alcun tentennamento, combattendo nell’esercito della RSI, finché non venne catturato dagli inglesi che lo trasferirono in un campo di concentramento in Australia, dove venne torturato e seviziato. Vi rimase per due anni, poi fu ricondotto in Italia nel 1945, a guerra finita. Morì fascista e dimenticato da tutti nel 1947, in seguito ai traumi subiti durante la prigionia.
Bibliografia consigliata: Marcello Veneziani, I vinti: i perdenti della globalizzazione e loro elogio finale, 2004.