Conclusione surreale di un Master deludente, che sostanzialmente ha proposto un solo giorno di vero spettacolo, il sabato delle semifinali, a cui poi non c’è stato seguito. In coda alla premiazione dei gemelli Bryan, trionfatori nel torneo di doppio, ha preso la parola a sorpresa Roger Federer, che da lì a pochi minuti sarebbe dovuto scendere in campo per disputare la sua nona finale in carriera nelle finals del Master ATP, la numero 124 in assoluto. Ebbene quella partita non si è disputata, proprio a causa del ritiro per dolori alla schiena dello svizzero, il quale si è scusato con tutto il pubblico londinese per questo fuori programma e ha lasciato la scena, assegnando di fatto il titolo a Novak Djokovic.
Si tratta di uno dei rari forfait nella lunga permanenza nel circuito per Federer, che però, a ben vedere, sembra avere i suoi validissimi motivi per non aver partecipato all’atto conclusivo del quinto torneo individuale per prestigio ed importanza. Infatti, la settimana prossima, al 21 al 23 di novembre, la squadra elvetica, guidata dai due migliori alfieri di cui abbia mai potuto disporre, si giocherà per la seconda volta nella sua storia la Coppa Davis. A ventidue anni di distanza dalla sconfitta per 3-1 di Fort Worth contro lo squadrone statunitense, composto da Agassi e Courier come singolaristi e dalla strana coppia McEnroe/Sampras (la cui rimonta nel terzo incontro fu decisiva), Roger e Wawrinka tenteranno di portare l’insalatiera nel paese dei Cantoni, sfidando a Lille la Francia. Eccettuato l’oro olimpico, è l’unico grande alloro mancante al giocatore che è stato numero 1 del mondo per 302 settimane. E senza di lui, la formazione capitanata da Severin Luthi non avrebbe quasi nessuna possibilità di prevalere, se non con un miracolo. Ecco allora arrivare le estreme precauzioni, a fronte di rischi estremi. Il riferimento a “cerotti, massaggi e riposo”, per tentare fino all’ultimo di poter contendere il Master a Djokovic e di portarselo per la settima volta in bacheca, può risultare valido e credibile, conoscendo la correttezza e la tenacia del campione in questione; tuttavia, il profilo della Davis all’orizzonte è troppo ingombrante per essere ignorato e sottoporsi allo sforzo odierno dopo aver vinto in 2 ore e 48 minuti una clamorosa semifinale, proprio contro il connazionale-compagno di squadra, al tie-break del terzo set con quattro match point annullati, si sarebbe rivelato un harakiri incredibile in caso di ulteriori complicanze fisiche.
A beneficiarne è stato allora Nole Djokovic, che conquista così le sue terze finals di Master ATP consecutive, come erano riusciti a fare in passato soltanto Ilie Nastase (1971-73) e Ivan Lendl (1985-87). Il conto totale per il serbo sale a quattro Master, che gli valgono il quarto posto nell’albo d’oro complessivo insieme a Nastase stesso, a una lunghezza da Lendl e Sampras e a due da Federer. Queste circostanze portano in casa Djokovic (recentemente allargata per la nascita del primo figlio Stefan) il titolo numero 48: si ripetono inoltre i sette titoli stagionali del 2013, mentre la migliore annata resta per distacco quella dell’esplosione a massimi livelli, ossia il 2011, durante il quale sollevò dieci trofei. Il successo decisivo di questa settimana può pertanto considerarsi quello della semifinale contro Kei Nishikori, l’unico ad impensierire il neopapà e in grado di strappargli un set nella sconfitta di ieri pomeriggio per 6-1 3-6 6-0.
In attesa di novità riguardanti le condizioni dello sconfitto di giornata, sembra corretto esaltare i due fenomeni di cui abbiamo solo accennato all’inizio, ossia Bob e Mike Bryan, vincitori oggi per 6-7 6-2 10-7 contro Dodig/Melo. Per quella che è ormai la coppia più titolata della storia del tennis parlano pochi numeri: quattro Master, 103 titoli ATP, di cui sedici prove del Grande Slam, nove volte team dell’anno e un totale di 810 settimane al vertice della classifica mondiale (397 per Bob e 413 per Mike, di cui una buona parte in coabitazione). Mostri più che maestri.