Conoscete il detto Sparare sulla Croce rossa? Ecco, io sono il cecchino. Ieri sera è andata in onda, in un orario improbabile, la prima puntata di Masterpiece su Rai3.
Eravamo in tanti e molti pronti al peggio. Ora potrete accusarmi di parlarmi per frasi fatte, ma un altro proverbio si impone: al peggio non c’è mai fine.
Gli autori della trasmissione hanno reso persino me, possibilista, franco tiratore, riuscendo a trasformare quello che doveva (e forse poteva) essere un contenitore nazional-popolare in una pattumiera. E badate bene, scelgo volutamente di non usare la parola inglese trash, perché nel corso della trasmissione dedicata alla letteratura italiana vi è stata una tale abbondanza di termini anglofoni da far emergere in me il peggior sciovinismo linguistico.
Ma procediamo per gradi.
1) Il contenitore: copia malamente riuscita di altri programmi, abbonda di luci sparate su occhi lucidi, pose alla Terminator, musica “tensiva” e confessionali. Ci è mancata moltissimo Belen.
2) La giuria: ora, non mi aspettavo gli Amici della Domenica, ma mi permetterete di far notare che, in un programma dedicato alla scrittura in lingua italiana, avere un giudice che sbaglia i congiuntivi e confonde post-moderno con futurismo non è il massimo. Inoltre mi aspetterei che a giudicare ci sia una persona di grandi competenze e non una signora –di tutto rispetto, per carità- che ha all’attivo un libro e due racconti. Ancora: il gioco delle coppie (tu assomigli a… e tu a…) è stato francamente puerile e insopportabile, qualche commento più calzante non avrebbe guastato. Inoltre, se paragonassero la mia scrittura a quella di Fante, io non potrei che prostrami al suolo.
3) I partecipanti: le storie personali sono interessanti quando hanno una reale attinenza al discorso creativo, che però da queste prescinde. Si può scrivere d’amore senza aver mai baciato un uomo, Emily Brontë ce l’ha focosamente dimostrato, pur essendo probabilmente molto più intonsa di uno dei casi umani ieri sbandierati. Si può scrivere di delitti senza esser mai stati in galera, vogliamo chiederlo ad Agatha Christie? E si può persino esser stati in galera senza scrivere di delitti e misfatti.
Perché non si è praticamente mai parlato di letture formative, di scrittori preferiti, di grandi maestri e di scelte stilistiche? Perché non si è letto qualche parola in più di quei manoscritti? Se non meritavano attenzione, perché proporli; se ne meritavano perché danneggiare in questo modo un lavoro lungo e –ben lo sappiamo- faticoso? Nessun tipo di colpa può esser ascritta ai partecipanti, se non quella di essersi lasciati abbindolare dalle sirene televisive.
4) La scrittura: come ha detto ieri sera Iacopo De Michelis, la nostra amata scrittura è stata niente più che il “convitato di pietra” al festino televisivo. La piangiamo con lui, sperando in una provvida resurrezione nella prossima puntata.
Il mercato editoriale, in crisi da decenni, cerca con ragione delle nuove strade: ma possono queste assomigliare in maniera così evidente ai banchi di Maria De Filippi?
Nonostante l’ipse dixit di Severgnini, che ha parlato di televisione che prova a fare qualcosa di nuovo, io credo che mamma Rai abbia preso un vestito vecchio è abbia cercato di farlo indossare a forza ai libri. Risultato? Ascolti penosi e commenti non al vetriolo ma sbeffeggianti. Chiaramente chi non fa non sbaglia, tuttavia è inutile attendere una coraggiosa virata poiché le selezioni fanno parte di un blocco di puntate già registrate, ma uno Spartaco io me lo aspetto. Vuoi vedere che a salvare capra e cavoli arriva un vero scrittore?