di Maurizio Lancellotti con un’intervista a Viviana Scarinci sulla figura autoriale di Elena Ferrante da qui
Partiamo da un dato di fatto. Ogni anno la rivista americana Foreign Policy stila una lista delle personalità dalle idee più importanti e rivoluzionarie per la collettività. Due gli italiani menzionati fra i cento personaggi più influenti: il premier Matteo Renzi, grazie al quale, testuali parole, “si è rotta la politica del bunga-bunga”, il più giovane presidente della storia italiana e l’innovatore che potrebbe “portarci fuori dalla più grave crisi economica dal 1930″ e la scrittrice Elena Ferrante, perché “scrive storie anonime e oneste”, nonostante si tratti di uno pseudonimo, perché “Lei o lui non è mai apparsa in pubblico”.
Com’è riportato nella locandina predisposta per questo incontro, “Elena Ferrante è l’autrice italiana che più di tutti ha reso riconoscibile un’Italia al femminile nient’affatto risaputa che dagli anni Cinquanta arriva ai giorni nostri con tutte le contraddizioni del caso. Nel 2014 in pochi mesi i libri di Elena Ferrante conquistano un vastissimo consenso internazionale. E soprattutto vendono in tutto il mondo, senza che nessuno abbia mai visto Elena Ferrante o sappia chi sia. Come è stato possibile tutto questo?”.
Quando l’autore di un romanzo scrive, deve avere in mente quale possa essere il proprio target, immaginandone proprio durante la costruzione il bacino di un possibile accoglimento, manifestandolo come protesi di un soggetto individuale o collettivo? Oppure, il libro va prodotto come se fosse un oggetto da “far lavorare” sul mercato, pensando che sarà poi l’editore, assieme eventualmente alla notorietà dell’autore e al grado di piacevolezza e di capacità di intrattenimento del testo, a creare il lettore? O, forse, è possibile ipotizzare una terza via, quella cioè di un libro come entità autonoma che prescinde persino dall’autore e che ha dignità in sé nella misura in cui garantisce la possibilità di emancipazione tramite l’esercizio del pensiero e l’arricchimento della conoscenza piuttosto che tramite il perseguimento del piacere dell’evasione? E volendo per semplicità ridurre l’operazione della produzione di un romanzo a queste tre modalità, quale di esse più si avvicinerebbe all’operazione condotta da Elena Ferrante e dal suo editore? Non è facile, credo, rispondere a questa domanda, nella misura in cui i testi di Elena Ferrante sembrano in qualche misura considerarle tutte e tre.
La prima, perché questi romanzi potrebbero iscriversi senza difficoltà in una sorta di tentativo di disamina sociologica e culturale della figura femminile dal dopoguerra ad oggi; la seconda, perché credo sia innegabile che questa operazione includa – senza neanche volerli celare – degli elementi che potremmo definire di marketing letterario; la terza, perché a me sembra sincera la Ferrante (chiunque ella sia od egli sia o loro siano) quando afferma – con Calvino – che di un autore contano solo le opere, quando contano.
Ma allora, dovremmo concludere che quest’operazione sia tutto e nulla al tempo stesso? Non credo questo, tuttavia appunto ritengo che non sia facilmente classificabile, etichettabile…
Quanto vale per la forma, direi che in una certa misura sia vero anche per il contenuto. Ciò nella misura in cui l’opera della Ferrante non mi sembra riconducibile né al genere letterario né a quello commerciale, o forse – direi – è riconducibile ad una sorta di ibrido, quello che oggi passa con il magico termine di upmarket, un genere assai ambito…
INTERVISTA
M.L. Chi è Elena Ferrante?
V. S. A parte i suoi editori, nessuno sa chi sia realmente Elena Ferrante. Sono state fatte diverse ipotesi, anagrammando il nome, pensando all’anno di nascita indicato, eccetera, ma non vi è alcuna certezza al riguardo.
Ad ogni modo, Elena Ferrante è un’autrice che la scorsa estate è stata consacrata a livello internazionale, grazie alla produzione di un tipo di romanzo femminile – che è altro rispetto al romanzo rosa. Una scrittrice, dunque, che in tal senso ha saputo organizzare ed adattare la propria scrittura, a partire dal 1992 con L’amore molesto, ben reso l’anno seguente nel film di Martone.
M.L.Con riferimento al successo dei propri libri, tu riporti quest’affermazione dell’autrice: “Quanto al successo dei miei libri, ne ignoro le ragioni, ma non ho dubbi che vadano cercate in ciò che raccontano e in come lo raccontano.”
Che cosa raccontano in sintesi i libri della Ferrante e come lo raccontano? Risiede in questo, come sostiene l’autrice, a tuo avviso, la ragione della sua notorietà presso il pubblico? O vi è anche dell’altro? Cosa?
V.S. Si deve tener presente questo. Dal 1992 al 2006 Ferrante produce il primo ciclo composto da tre romanzi, che non a caso successivamente l’editore raccoglie in un unico testo intitolato Cronaca del mal d’amore. Si tratta di romanzi psicologici, non lontani come prospettiva dal corrispondente genere letterario del Novecento, in cui abbiamo una donna che parla in prima persona, narrando eventi autobiografici fondamentalmente rivelatori di un’esistenza drammatica.
Nel secondo ciclo che parte dal 2011 e arriva al 2014 e che costituisce a tutti gli effetti una saga che si può credere legata ad una scelta commerciale, se non altro con riferimento alla narrazione ad episodi, si assiste ad un rovesciamento del tema, per cui la femminilità isolata cede il passo ad una protagonista – guarda caso di nome Elena, il che potrebbe indurci a credere che si tratti di una sorta di autobiografia romanzata dell’autrice, fatto che ancora di più spinge i lettori a seguirne le “puntate” – che corrisponde all’io narrante, che ci mostra l’evoluzione della figura femminile nel sud del nostro Paese dagli anni ’50 ad oggi, l’avvento del femminismo, l’uscita della donna da casa alla ricerca di una professione e quindi l’instaurarsi, affianco alla relazione con l’uomo, della relazione con altre donne, da cui il tema della sororanza.
M.L. A tuo avviso, i testi di Elena Ferrante hanno valore letterario?
V.S. Credo i testi a firma Elena Ferrante abbiano anzitutto valore dal punto di vista sociale per quanto attiene alla disamina della questione femminile. Tuttavia, credo che vi siano anche dei romanzi di questa autrice, penso all’Amore molesto, ai Giorni dell’abbandono che sono molto significativi dal punto di vista letterario.
M.L. Cosa potrebbe apprendere un aspirante scrittore dalla Ferrante e cosa invece dovrebbe evitare?
V. S. Credo che un aspirante scrittore abbia molto da apprendere da questa autrice. Occorre a tutti saper adattare la propria scrittura ai tempi. In Ferrante trovi frasi molto brevi, dialoghi apparentemente sinceri, una narrazione che mostra in modo spietato i sentimenti dei protagonisti, un modo di scrivere insomma che ti invoglia a girar pagina ed a comprare il prossimo romanzo, la prossima puntata di una storia che ti prende… L’opera della Ferrante è un perfetto manuale di storytelling.
M.L. Ferrante è a tuo avviso sincera quando afferma – con Calvino – che di un autore contano solo le opere, quando contano?
V.S. Al di là dell’importanza relativa che assume la vera identità di una persona o di un gruppo di persone rappresentato da uno pseudonimo, l’autrice ci dice che «Non dover apparire genera uno spazio di libertà creativa assoluta». Qui si crea un nesso, a mio avviso risolutivo, quello che metterà prima o poi a tacere la ricerca nel corpo autoriale più che nei testi di Elena Ferrante. La dipendenza verso la fiction di se stessi che comporta la continua esposizione mediatica, ha consentito la mercificazione più straniante che si sia mai potuta verificare a livello collettivo, quella che consente a poteri piccoli e grandi il loro terreno manipolatorio più redditizio. Elena Ferrante o chi per lei, è stata forse la prima scrittrice del nostro tempo che sia presa la libertà di lasciarlo intendere fattivamente.
M.L. Nel tuo saggio, compare per 15 volte la parola “Didone”: puoi spiegarci l’importanza di questa figura per l’autrice?
V.S. Didone è una regina che sedotta e abbandonata da Enea, l’eroe per eccellenza, si suicida.
E’ questo episodio paradigmatico che Ferrante ripropone in più occasioni ma cambiando il finale …Didone abbandonata erra per la città fuori di sé, mentre nei romanzi della Ferrante ci sono personaggi anche come Olga de I giorni dell’abbandono capaci di comprendere che non debbano reagire all’abbandono spezzandosi.
M.L. Qual è lo stato dell’arte della critica sull’opera dell’autrice ed in questo ambito come si colloca il tuo e-book ed eventuali approfondimenti che stai compiendo sull’argomento? Quali sono gli elementi di novità della tua indagine, secondo i primi riscontri che hai ricevuto? In che direzione intendi muoverti rispetto a questi studi e cosa ritieni che vada ulteriormente approfondito di questa autrice e di questo caso editoriale?
V.S. Per il momento in questo ebook ho fornito elementi introduttivi e divulgativi, mostrando come Elena Ferrante sia una scrittrice importante sopratutto dal punto di vista della politica delle donne. La sua è una scrittura accattivante che tuttavia presuppone un significativo background sociologico e filosofico, a partire dal tema dell’identità femminile per quanto attiene al pensiero della differenza sessuale e della figura materna. Importantissimo il rapporto con l’altra da sé in termini speculari e quindi il riconoscimento a partire da una decostruzione e ricostruzione in chiave femminile del pensiero di Freud, della rottura della dipendenza dall’uomo e d’importanza di quell’oscillazione fra dipendenza e autonomia cui la Ferrante si rifà.