La personalizzazione estrema del messaggio politico è una cosa ben diversa dalla leadership: la riflessione di Stefano Folli sul Sole 24 ore prende lo spunto da un libro scritto da Fabio Bordignon intitolato “Il partito del capo. Da Berlusconi a Renzi”. Non sarà proprio un caso se, all’indomani del (presunto) tramonto di Berlusconi dalla scena politica – almeno italiana, staremo a vedere se assisteremo a breve alla nascita di un Forza Bulgaria –, un volto nuovo si affacci a sostituire il precedente. Che sia, almeno per provenienza e retroterra culturale, left-oriented, poco conta. Anzi, il dato da considerare consiste proprio nell’adeguamento della sinistra al modello “iper personalizzato” che ha fatto irruzione nel mondo politico dal ’94 in poi.
Altri personaggi – emuli o nemici giurati? – avevano provato a rubare lo scettro di B., spianando così la strada al giovane rampollo fiorentino: Bordignon ricostruisce l’iter di personalizzazione della politica analizzandone diversi esponenti, da Veltroni a Di Pietro, Vendola e Grillo. Quali possono essere le cause di questa metamorfosi socio-culturale? Di sicuro l’indebolimento del sistema democratico e la mancanza dei contenuti politici vanno presi in considerazione.
Nel saggio di Bordignon, che Mauro Calise considera “la prima analisi sistematica della personalizzazione in Italia” e “una lettura obbligata per capire come uscire dal cul de sac in cui si trovano i partiti”, Berlusconi e Renzi vengono accomunati dal fatto di avere reso sé stessi il contenuto del messaggio che portano avanti, chiedendo ai cittadini di avere fiducia nel “brand” della loro persona.
Insomma, si sta parlando di un format. Da pubblicizzare e distribuire con gli onnipotenti – e invasivi – mezzi mediatici e tecnologici odierni: l’attività di Renzi su facebook e twitter e il suo farsi riprendere mentre smanetta con dimestichezza sulla tastiera del computer ne sono l’esempio più evidente.
“Il sentimento dell’uomo della strada che ripone oggi le speranze di rinnovamento nel capo del centrosinistra” chiosa Folli “è analogo a quello su cui Berlusconi, vent’anni fa, costruì il proprio consenso”. Insomma, “chi mi ama mi segua”. Legittimo. Ma sarà sufficiente? Se prima il leader era il portavoce di un partito o di un movimento, adesso è la “persona” a decidere e a disporre, innescando un cambiamento fondamentale nella funzione dell’elettorato. A tal punto ci sembra giocoforza porre la questione: quanto conta, ancora, la “base”? Quanto è possibile affidarsi a un novello Prometeo che delinea orizzonti salvifici?
Vedremo cosa ci riserverà la terza Repubblica. Oggi più che mai, tuttavia, ci sembra il caso di porre l’accento su un orientamento politico genuinamente “popolare”, diffidenti nei confronti di un indefinito ed evanescente “nuovo che avanza” e convinti che in politica non sia tanto questione di apparire “moderni” e al passo con i tempi, quanto piuttosto di onestà, competenza e trasparenza.
Marco Cecchini