Se non ci fosse stato Beppe Grillo, probabilmente non sarei andato a votare. Naturalmente, a votare per l’unico partito in grado di far argine all’avanzata delle orde di cazzoni pentastellati: il Partito Democratico di Matteo Renzi. A giudicare dalle tonnellate di asfalto che il leader del Pd ha riversato sui suoi competitori, credo che in molti siano andati a votare per gli stessi miei motivi. Certo che il barbudo del web ce ne ha messo del suo per far trionfare Renzi: prima si è giocato il voto degli imprenditori con le sue farneticazioni sull’Expò; poi, ha dissotterrato la memoria dei tanti ex berlingueriani che per disperazione avevano votato M5stelle alle politiche del 2013, facendoli prendere coscienza del baratro in cui erano finiti. Ad essere maligni, si potrebbe pensare che Grillo abbia voluto darsi la zappa sui piedi per non rischiare di dover portare avanti i suoi propositi di presa del potere.
Renzi ha chiuso a chiave la politica italiana e può tranquillamente decidere se e quando riaprire la porta o se buttarla a mare, la chiave. In sè è un male che un singolo politico assurga a un ruolo tanto preponderante in una democrazia, ma viste le alternative, è di gran lunga il minore dei mali. Anche perché il suo potere si regge su un consenso costruito senza l’impero mediatico di Berlusconi, di conseguenza meno consolidato e meno consolidabile. D’altra parte, se il trionfo elettorale lo ha posizionato in una centralità incontrastata, allo stesso tempo segna la fine dell’infanzia della sua proposta di governo. Fino ad ora è stata sufficiente la rivoluzione copernicana della maniera politica apportata da Renzi all’impaludata scena italiana, impreziosita da qualche riuscito intervento, come il bonus irpef da 80 Euro.
Il premier ha dovuto sottostare ai condizionamenti dell’ex Pdl, sia quelli dei lealisti alfaniani nel governo, sia quelli dei falchi berlusconiani nel percorso delle riforme. Ora, di fronte al risultato che si prospetta, confermato e rafforzato dai dati del Viminale, l’unico che può permettersi di minacciare elezioni anticipate, suscitando il panico persino dei grillini, è proprio Renzi. Di conseguenza, destra e centristi di governo, così come Forza Italia sulle riforme, dovranno giocoforza essere molto più accondiscendenti nei confronti del premier. Senza contare che la straordinaria prova di forza elettorale di Renzi dovrebbe avvicinare anche Sel e dissidenti 5stelle, questi ultimi in possibile allargamento. Allo stato attuale, gli unici a poter accogliere favorevolmente elezioni anticipate sono i leghisti che hanno dimostrato di saper mobilitare i loro militanti.
Ora, per Renzi, arriva la prova del nove: deve dimostrare di saper imprimere una sua personale linea di governo, senza più l’alibi dei condizionamenti. I tentennamenti e le mediazioni estenuanti viste finora, non saranno più giustificabili agli occhi dell’opinione pubblica. Il consenso senza precedenti ottenuto verrà consolidato solo con un governo capace di semplificare la pachidermica macchina burocratica e di essere incisivo nelle politiche di giustizia sociale.