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In veste traslata (con licenza d'antan), si potrebbe dire che sul ciliegio del Pd c'è un bocciolo – il più bello e incantevole di tutti – di cui però l'Italia rischia di non godere: Matteo Renzi è là, pronto a sbocciare con completezza da molto tempo, accerchiato dalla contemplazione, ma bloccato dal clima.
Renzi continua a vivere, ancora adesso, sospeso tra due piani: quello extra-partito e quello intra-partito. L'ultima settima (da sabato scorso ad oggi) è stata da esempio per questa sballata dicotomia. Renzi è stato ospite ad Amici. Decisione discussa su cui non si è perso tempo per gettare snobismo da superiorità intellettuale. Decisione opinabile, forse: i più critici hanno espresso considerazioni sul fatto che il programma della De Filippi non rientra nel target di un leader Pd. Ma questa è una questione stupida, un po' presuntuosa, e pigra: basata sulla considerazione puramente di sinistra, che gli elettori di sinistra, sono migliori sotto ogni punto di vista (ma soprattutto culturale e intellettivo) di quelli di destra. Questione su cui non ho voglia di approfondire in questo momento.
E' giusto anche parlar chiaro: le parole di Renzi, sono state poco più di acqua fresca. Tra l'altro, come per un comico che hai sentito diverse volte a teatro e poi lo rivedi in tv, diversi passaggi erano roba trita e ritrita, detta e ridetta. Ma l'effetto in prime time, è stato buono di sicuro. Renzi ad Amici ha trasmesso fiducia e speranza: un intervento breve, prima che la puntata vera e propria iniziasse (ottima scelta), che ha rapito l'attenzione e l'interesse di concorrenti e telespettatori, sufficientemente affascinati, o comunque interessati, dalle sue parole. Voti. Veri, sinceri, convinti. Voti nazional-popolari, quelli che Berlusconi ha catturato per anni. Voti della gente comune, come siamo tutti noi. Renzi per quelle persone, ha incarnato quell'Italia post-politica di cui parlano i dati usciti in questi giorni della ricerca LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio, promossa da Community Media Research per La Stampa). Ed è quel che si trasmette che conta. La leadership renziana, tra il popolo, passa quasi orizzontale e ben distanziata dal giudizio dato sui politici e sui partiti. Il Renzi extra-partito è visto come colui che supera le tradizioni politiche novecentesche, giovane, con una visione strategica in grado di anticipare ed affrontare i problemi, dotato di integrità etica di moralità e senso della legalità. Su questo si fonda l'empatia con la maggior parte degli italiani – extra-partito, appunto – e poco importa se c'è qualcosa di impreciso dietro. Ma a questo idillio con il popolo, si abbina in parallelo lo specchio del partito. Un Pd che ancora mal digerisce la sua figura. L'offensiva renziana del momento, coraggiosa e degna d'onore (l'ha detto lui stesso che potrebbe starsene buono e aspettare il prossimo turno, ché sarà il suo), si è nuovamente conclusa con un risultato non propriamente positivo. Prima, domenica scorsa, l'endorsement a Gentiloni per Roma: tardivo e non risolutivo d'accordo. La vittoria di Marino alle primarie per il sindaco capitolino, bacia la sconfitta di Renzi e del suo favorito. Dall'interno del Pd non arriva ancora quella legittimazione e quella fiducia, necessaria per poter rappresentare il leader assoluto. Aspetto confermato dalla decisione, durante la settimana, di non inviare il Sindaco di Firenze tra i rappresentati toscani ai Grandi Elettori. Decisione di prassi politica, istituzionale, partitica: ma le prassi non sono regole ferree e costringenti e si sa bene che certe volte possono essere oltrepassate (quel che penso sulla questione l'ho detto qui). La conclusione comunque, è stata un'altra sconfitta, davanti ai meccanismi del partito: occorre parlar chiaro, come dicevo.
Per Renzi il problema è proprio lì, intra-partito, nella meccanicità di una nomenklatura abbottonata e di una prassi bloccata. Renzi sa anche che per ottenere quella legittimazione dovrà passare dalle primarie: non può ricevere, per coerenza personale, l'imprimatur dal gruppo dirigenziale attuale. E dunque la cosa si complica i piani si intrecciano: riuscirà a far collimare nei tempi e nei modi, l'extra e l'intra partito? Oppure rischierà un'isolamento arricchito soltanto da qualche conversione in corso d'opera? E soprattutto, in alternativa: quanto sarà possibile essere il premier giusto, il leader voluto dagli italiani, il candidato ideale del Pd, senza la forza del partito compatto alle spalle? Insomma sono mesi che quel bocciolo è fermo su quel ramo: l'hanami politico italiano, riuscirà a godere completamente della bellezza del fiore renziano, magari protetto dalle forti fronde del Pd, oppure quel bel bocciolo si seccherà prematuramente?
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