"Battiam battiam le mani, arriva il Direttor"
Grande Orchestra del Maestro Cinico Angelini
Cantano: Gino Latilla e Carla Boni
Il canto servile dei poveri figli di Siracusa (di Francesco Merlo)
La canzone era così stupidamente servile che avrebbe messo in imbarazzo persino i nordcoreani. Perciò il giovane Renzi, che ha fama di disobbediente (“sono un po’ bullo” diceva di sé, ricordate?), avrebbe dovuto fermare, liberare, fare discoli e mandar fuori a giocare al pallone quei poveri figli di Siracusa che gli cantavano “facciamo un salto / battiam le mani / muoviam la testa/ facciam la festa”.
Diciamolo più chiaro: se fosse stato ancora lo stesso che, appena eletto segretario, scelse come inno “Resta ribelle” dei Negrita, Renzi avrebbe certamente intonato “prendi una chitarra e qualche dose di follia / come una mitraglia sputa fuoco e poesia”. E, con l’incitamento a contestare e a irridere i maestri, avrebbe coperto quei miagolii che dai maestri erano stati imposti: “presidente Renzi, da oggi in poi / ovunque vai, non scordarti di noi”
Non l’ha fatto e l’Italia intera lo ha visto ubriaco di lusinghe. Ha cominciato ad abbracciare tutti e “facebook non vale un abbraccio” ha detto, e pensate quanto sarebbe stato renzianamente bello sentirgli invece dire: “disobbedite, se volete il mio abbraccio”. Anche quel vezzo stucchevole di farsi chiamare Matteo più che da sindaco d’Italia sta diventando un tic da televisivo, non statista in versione Vasco Rossi ma imbonitore in formato Antonella Clerici, quella di “Ti lascio una canzone” che è appunto la fiera del bambino da salotto, tutto moine e mossette, che nessuno, soprattutto a sinistra, vorrebbe avere per figlio.
C’era in più, in quella filastrocca cortigiana, anche il tentativo del glamour, con il clap and jump, e persino con il blues, la disposizione in semicerchio, il gioco perverso di regolare gli evviva e gli applausi, la fatica ruffiana di tradurre e adattare un testo inglese. Tutto questo per aggiungere charme al solito immaginario canoro degli italiani: una spruzzatina del Sanremo di Fabio Fazio sui bimbi-scimmiette del Mago Zurlì. Ecco il punto: Renzi ha tutto il diritto di girare le scuole d’Italia, se è questa la sua cifra di politica popolare, ma per cambiarle, come aveva promesso, e non per degradarle a serbatoi delle sue majorettes.
Capisco che qui è facile il paragone con l’uso dei bambini nei totalitarismi, sul quale infatti si è banalmente esibito Beppe Grillo: i figli della lupa, gli avanguardisti della ventisettesima legione che salutavano il duce intonando Giovinezza, oppure “i battaglioni della speranza”, ragazzini dai dodici a quattordici anni che cantavano nelle parate dell’Est europeo. La verità è che anche in democrazia troppo si abusa dei giovanissimi, perché fa un sacco bello lasciare che i bambini vengano a noi e, come ha scritto Milan Kundera, “nessuno lo sa meglio degli uomini politici: quando c’è in giro una macchina fotografica si precipitano verso il bambino più vicino per sollevarlo in aria e baciarlo sulla guancia”.
A Siracusa dunque non c’è stata la manipolazione sordida tipica dei regimi ma la paideia, il tentativo di ridurre i bambini a protesi ornamentale, di formarli alla piaggeria e all’adulazione: “non insegnate ai bambini la vostra morale /è così stanca e malata potrebbe far male” cantava il Gaber citato da Renzi persino nei libri. Gaber li vedeva cantare e battere le mani e pensava che facessero “finta di essere sani”, Renzi invece li ha passati in rassegna dando a tutti il cinque.
Ma ieri a Siracusa ho visto di peggio. Un retroscena rivela infatti che nell’esibizione di quella scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, non c’è stato solo l’accanimento politico – e ridicolo – del sindaco Giancarlo Garozzo. Ecco il colpo di scena: la preside Cucinotta, che è la vera regista responsabile dello spettacolino, e la sua vice Katya De Marco sono accanite militanti di Forza Italia. E dunque io, che da quelle parti sono nato, ci ho visto soprattutto la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario naturale dello zio d’America, e mi sono ricordato che Silvio Berlusconi a Lampedusa fu accolto come un messia, come un conquistador. Perché sempre così viene salutato l’uomo potente che viene da fuori, l’uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, un presidente del consiglio o non importa chi, purché venga appunto da fuori.
Renzi si rilegga, per risarcire l’Italia, Carlo Levi che racconta di quel tal Vincent Impellitteri che – cito a memoria – tornato dall’America, entra in paese (era la provincia di Palermo e non di Siracusa) su una lussuosa macchina scoperta, ed è accolto dalla gente in festa che lo tratta come uno sciamano: “’Tuccamu a machina, così ce ne andiamo in America’ gridavano i ragazzi del luogo”. Ebbene, Impellitteri non solo non li abbraccia e non dà loro il cinque. Ma si addolora e si rattrista al punto che si mette a piangere.
Clap and jump per Renzi
Facciamo un salto... battiam le mani...
Muoviam ta testa... facciamo festa...
A braccia aperte ti diciamo "Benvenuto al Raiti!"
I bambini... gli insegnanti... i bidelli...
E poi l'orchestra lascerem improvvisar così...
...piripippi ppi...
Siamo felici... e ti gridiamo...
Da oggi in poi... dovunque vai...
Tu non scordarti di noi
Dei nostri sogni... delle speranze...
Che ti affidiamo, con fiducia, oggi a ritmo di blues
Le ragazze... I ragazzi... Tutti insieme
Alle tue idee e al tuo lavoro affidiamo il futuro
...piripippi ppi..
E poi di nuovo... Ancora insieme...
Noi camminiamo... Ci avviciniamo...
E un girotondo noi formiamo
sempre a tempo di blues
Gli Antesignani “Quando eravamo piccini
la nostra maestrina
con la più gran disciplina
tutti faceva filar
lei ci metteva in riga
gridando “fate attenzion
adesso marcerete
cantando questa canzon”
Battiam battiam le mani
arriva il direttor
battiam battiam le mani
all’uomo di valor
gettiamo tulipani
e mazzolin di fior
cantiamo tutti in coro
evviva, evviva
ed una coppa d’oro
doniamo al direttor.
E finalmente a vent’anni
dicemmo è finita
ora ci porta la vita
giorni di felicità
ma presto tutti quanti
dovemmo constatar
che per andare avanti
sempre si deve cantar
Battiam battiam le mani
arriva il direttor…..”
Così recitava il testo della canzoncina Arriva il Direttore negli anni Cinquanta, portata al successo da Carla Boni e Gino Latilla, dal Quartetto Cetra e da Natalino Otto. (Fonte: The FrontPage)
Scritto il 06 marzo 2014 alle 14:08 nella Cultura, Fronte del Porco, Impresentabili, Politica, Renzi, Satira | Permalink
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Matteo Renzi e le "insegnanti di Siracusa": la più oscena "marchetta" del secolo"Battiam battiam le mani, arriva il Direttor"
Grande Orchestra del Maestro Cinico Angelini
Cantano: Gino Latilla e Carla Boni
Il canto servile dei poveri figli di Siracusa (di Francesco Merlo)
La canzone era così stupidamente servile che avrebbe messo in imbarazzo persino i nordcoreani. Perciò il giovane Renzi, che ha fama di disobbediente (“sono un po’ bullo” diceva di sé, ricordate?), avrebbe dovuto fermare, liberare, fare discoli e mandar fuori a giocare al pallone quei poveri figli di Siracusa che gli cantavano “facciamo un salto / battiam le mani / muoviam la testa/ facciam la festa”.
Diciamolo più chiaro: se fosse stato ancora lo stesso che, appena eletto segretario, scelse come inno “Resta ribelle” dei Negrita, Renzi avrebbe certamente intonato “prendi una chitarra e qualche dose di follia / come una mitraglia sputa fuoco e poesia”. E, con l’incitamento a contestare e a irridere i maestri, avrebbe coperto quei miagolii che dai maestri erano stati imposti: “presidente Renzi, da oggi in poi / ovunque vai, non scordarti di noi”
Non l’ha fatto e l’Italia intera lo ha visto ubriaco di lusinghe. Ha cominciato ad abbracciare tutti e “facebook non vale un abbraccio” ha detto, e pensate quanto sarebbe stato renzianamente bello sentirgli invece dire: “disobbedite, se volete il mio abbraccio”. Anche quel vezzo stucchevole di farsi chiamare Matteo più che da sindaco d’Italia sta diventando un tic da televisivo, non statista in versione Vasco Rossi ma imbonitore in formato Antonella Clerici, quella di “Ti lascio una canzone” che è appunto la fiera del bambino da salotto, tutto moine e mossette, che nessuno, soprattutto a sinistra, vorrebbe avere per figlio.
C’era in più, in quella filastrocca cortigiana, anche il tentativo del glamour, con il clap and jump, e persino con il blues, la disposizione in semicerchio, il gioco perverso di regolare gli evviva e gli applausi, la fatica ruffiana di tradurre e adattare un testo inglese. Tutto questo per aggiungere charme al solito immaginario canoro degli italiani: una spruzzatina del Sanremo di Fabio Fazio sui bimbi-scimmiette del Mago Zurlì. Ecco il punto: Renzi ha tutto il diritto di girare le scuole d’Italia, se è questa la sua cifra di politica popolare, ma per cambiarle, come aveva promesso, e non per degradarle a serbatoi delle sue majorettes.
Capisco che qui è facile il paragone con l’uso dei bambini nei totalitarismi, sul quale infatti si è banalmente esibito Beppe Grillo: i figli della lupa, gli avanguardisti della ventisettesima legione che salutavano il duce intonando Giovinezza, oppure “i battaglioni della speranza”, ragazzini dai dodici a quattordici anni che cantavano nelle parate dell’Est europeo. La verità è che anche in democrazia troppo si abusa dei giovanissimi, perché fa un sacco bello lasciare che i bambini vengano a noi e, come ha scritto Milan Kundera, “nessuno lo sa meglio degli uomini politici: quando c’è in giro una macchina fotografica si precipitano verso il bambino più vicino per sollevarlo in aria e baciarlo sulla guancia”.
A Siracusa dunque non c’è stata la manipolazione sordida tipica dei regimi ma la paideia, il tentativo di ridurre i bambini a protesi ornamentale, di formarli alla piaggeria e all’adulazione: “non insegnate ai bambini la vostra morale /è così stanca e malata potrebbe far male” cantava il Gaber citato da Renzi persino nei libri. Gaber li vedeva cantare e battere le mani e pensava che facessero “finta di essere sani”, Renzi invece li ha passati in rassegna dando a tutti il cinque.
Ma ieri a Siracusa ho visto di peggio. Un retroscena rivela infatti che nell’esibizione di quella scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, non c’è stato solo l’accanimento politico – e ridicolo – del sindaco Giancarlo Garozzo. Ecco il colpo di scena: la preside Cucinotta, che è la vera regista responsabile dello spettacolino, e la sua vice Katya De Marco sono accanite militanti di Forza Italia. E dunque io, che da quelle parti sono nato, ci ho visto soprattutto la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario naturale dello zio d’America, e mi sono ricordato che Silvio Berlusconi a Lampedusa fu accolto come un messia, come un conquistador. Perché sempre così viene salutato l’uomo potente che viene da fuori, l’uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, un presidente del consiglio o non importa chi, purché venga appunto da fuori.
Renzi si rilegga, per risarcire l’Italia, Carlo Levi che racconta di quel tal Vincent Impellitteri che – cito a memoria – tornato dall’America, entra in paese (era la provincia di Palermo e non di Siracusa) su una lussuosa macchina scoperta, ed è accolto dalla gente in festa che lo tratta come uno sciamano: “’Tuccamu a machina, così ce ne andiamo in America’ gridavano i ragazzi del luogo”. Ebbene, Impellitteri non solo non li abbraccia e non dà loro il cinque. Ma si addolora e si rattrista al punto che si mette a piangere.
(Francesco Merlo)
Clap and jump per Renzi
Facciamo un salto... battiam le mani...
Muoviam ta testa... facciamo festa...
A braccia aperte ti diciamo "Benvenuto al Raiti!"
I bambini... gli insegnanti... i bidelli...
E poi l'orchestra lascerem improvvisar così...
...piripippi ppi...
Siamo felici... e ti gridiamo...
Da oggi in poi... dovunque vai...
Tu non scordarti di noi
Dei nostri sogni... delle speranze...
Che ti affidiamo, con fiducia, oggi a ritmo di blues
Le ragazze... I ragazzi... Tutti insieme
Alle tue idee e al tuo lavoro affidiamo il futuro
...piripippi ppi..
E poi di nuovo... Ancora insieme...
Noi camminiamo... Ci avviciniamo...
E un girotondo noi formiamo
sempre a tempo di blues
Gli Antesignani “Quando eravamo piccini
la nostra maestrina
con la più gran disciplina
tutti faceva filar
lei ci metteva in riga
gridando “fate attenzion
adesso marcerete
cantando questa canzon”
Battiam battiam le mani
arriva il direttor
battiam battiam le mani
all’uomo di valor
gettiamo tulipani
e mazzolin di fior
cantiamo tutti in coro
evviva, evviva
ed una coppa d’oro
doniamo al direttor.
E finalmente a vent’anni
dicemmo è finita
ora ci porta la vita
giorni di felicità
ma presto tutti quanti
dovemmo constatar
che per andare avanti
sempre si deve cantar
Battiam battiam le mani
arriva il direttor…..”
Così recitava il testo della canzoncina Arriva il Direttore negli anni Cinquanta, portata al successo da Carla Boni e Gino Latilla, dal Quartetto Cetra e da Natalino Otto. (Fonte: The FrontPage)
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