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Maurizio Manzo, Assistenziali

Creato il 02 gennaio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da lapoesiaelospirito su gennaio 2, 2012

Ho sempre creduto

che l’orrore avesse un orlo

Erich Fried

*

era in quel modo

davanti a quell’uomo

come cristo davanti

alla sua verità

che pareva non credere

ai gesti e al suono

alla bava asciugata sulle

sue braccia

mentre strappavano via come

cose tenute strette

erette più in alto che poteva

ogni sua arteria che gridava

divagando ogni dubbio pietoso

un dubbio che roccia respinge

ingegno precluso

eluso

dolore sapore candore.

La luce folta

rendeva narici palati

alati

scortesi protesi orticanti

cantilena tra moccio

e lacrima

rimasugli d’umano destino.

**

Emerso nell’abisso

guardava la madre attraverso

avverse coperte pungenti

ammutolito

farsi lontana sponda

anche il sole sembrava

inutile

raggio sospeso

a annerire la strada

adagiarsi d’ombra sperduta

il rumore si faceva

campana disperata

d’inudito respiro

spirale che ruota

svuota dentro la carne

arnesi gelidi

l’abbraccio falciato

scalciato filiale trasporto

si allontanava

l’ora interminabile

labile glottide.

***

Avresti sospettato dolore

ore insapute

tenute implose

non fosse per la distrazione

della felicità in_attesa

esagerata.

Come un giro completo

degli emisferi emozionali

fino a contorcersi

la troppa felicità

città balocca che

ti abbraccia fino a farti male.

Ma poi è la striscia

che consuma

umano sospiro a distrarre

il tuo cammino

mezzeria tratteggiata

consente svolte e non ritorno.

Il sonno infranto

rantolo ronfico

pesto sul grembo

embolo mappamondo

che srotola

con un dito il destino.

*****
E’ un grido il sapore aspro

mozzato in gola

e il rumore della testa

sbattuta a terra

uscire dalle narici

seccarle creta al fuoco.

Senti le dita sulla

giugulare che premono

monosillabi che volteggiano

sulla tua fronte

chi ti ha colpito

pare farfalla che si sbriciola.

Si trova a terra

in preda a stertore

pretore, abbiamo urlato

mandate un’ambulanza

muore sotto i nostri occhi,

così, un ragazzo.

Il corpo contuso

fuso al manganello

granello calpestato

perde da più parti

arti frantumati

tumefatta fisionomia.

Ignominia perpetuata

insensibile al cadavere

strattonato senza più aria

guarda il vuoto riempirsi

di contese che non potrà

udire dolore avvertire.

*******
Hai attraversato la strada

radente al muro

osservato a destra e sinistra

strappato un sorriso

a un autista

vista la bambola preferita

descritta sulla letterina

per babbo natale

nella vetrina vicina

alla porta di casa, ancora

un passo e sei dentro

la salvezza quotidiana

guadagnata accuratamente.

Solo il trillo del campanello

avverte il suo passo

quasi non vorrebbe suonare

perché la porta smetta

di aprirsi.

Irsute braccia tendono

la mano e l’orsacchiotto

ghiotto delle tue coccole

scivola una carezza sui

tuoi teneri capelli, porti

lo zaino in cameretta

come insegnato dalla mamma

che ogni giorno a quell’ora

lavora e sei sola

con quello strano affetto

del tuo papà

a cui pensi dovresti

fare attenzione

come in strada alle macchine

che non ti passino sopra

e ti farebbero tanto male

ma non sai dove guardare

per evitare lo scontro

quegli occhi non sono

i fari freddi di una macchina

anche se hanno fitti lampi

che lanciano luce

in fondo al buio

al cupo urlo che ti risuona

in testa ma non sprigiona

non libera dalla morsa

dal ricordo contaminato.


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