Continua il nostro stupore nell’apprendere che anche i medici che praticano l’aborto sono tranquillamente consapevoli di stare sopprimendo una vita umana. Da una parte apprezziamo la volontà di non voler più negare l’evidenza scientifica sul fatto che l’embrione è uno di noi” e non un grumo di cellule, dall’altra si aggrava enormemente la loro responsabilità morale.
E’ toccato a Javier Valdés, ginecologo presso il Centro de Orientación Familiar del Complejo Hospitalario Famiglia Guidance Center dell’Ospedale di Vigo (Spagna) e presidente della Galizia Society of Contraception, il quale, alla domanda dell’intervistatore se il feto è un essere umano, ha risposto: «Sì, lo sono anche quelli che si trovano sulla sedia elettrica, ma sono casi molto specifici (569 in un’area di mezzo milione di abitanti [a Vigo]) e si deve pensare alla vita della madre». Aggiungendo anche che «il vero problema sono le ragioni economiche o familiari», un maggior aiuto finanziario da parte dello Stato diminuirebbe il numero di aborti.
Addirittura il paragone tra il feto umano e i condannati alla pena di morte. Un paragone certamente azzeccato, lo ha fatto anche Papa Francesco: «Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo». Ma si rimane sbalorditi che a dirlo sia un ginecologo abortista. Esattamente come quando si leggono le parole di Alessandra Kustermann, storica ginecologa abortista della Mangiagalli di Milano: «In quel momento so benissimo che sto sopprimendo una vita». O quelle dell’obiettore di coscienza Nicola Surico, presidente uscente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), secondo cui l’interruzione di gravidanza «si tratta pur sempre di interrompere una vita» ma «da cattolico non accetto che una legge non venga applicata», cioè non è sacra la vita, ma è sacro applicare la legge che interrompe la vita.
La redazione