articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com
Emma Marcegaglia dice che se gli imprenditori stranieri non investono in Italia è perché non possono licenziare i fannulloni e gli assenteisti cronici. E’ vero e io posso dimostrarvelo.
Facciamo un caso concreto. L’imprenditore-tipo cui si riferisce la presidente di Confindustria si prepara a partire ma, giusto un attimo prima, realizza che forse è bene informarsi sul paese nel quale vuole aprire un’impresa. Allora legge il libro di Nunzia Penelope, Soldi Rubati, e si accorge che il nostro paese brucia ogni anno circa 450 miliardi di euro tra corruzione, evasione fiscale, lavoro in nero ed economia sommersa. Non convinto – che sia un libro fazioso? – cerca altre notizie su Google e scopre che 50 imprese all’ora (quasi uno al minuto) subiscono rapine, furti, atti vandalici. Un quinto degli imprenditori. Perlopiù si tratta di richieste di pizzo o di tangenti per le gare d’appalto. Il giro d’affari annuo legato all’usura è stimato in 20 miliardi di euro per circa 200 mila esercizi commerciali interessati. E nel 44% dei casi, per un reato del genere, la sentenza di primo grado non arriva prima di quattro anni.
Di fronte a questi numeri l’imprenditore straniero tentenna ma non desiste: si chiede allora quale sia la banca italiana con maggior liquidità cui poter chiedere più agevolmente un mutuo. Nel rapporto annuale di SOS IMPRESA, legge: “La più grande banca italiana è virtuale: si chiama mafia. Da sola, ogni anno, può contare su una liquidità di 65 miliardi, al netto delle spese per l’acquisto delle materie prime, i servizi, il personale, la latitanza e gli imprevisti che hanno una propria voce negli accantonamenti di bilancio”. La criminalità organizzata governa il mercato italiano e concorre a formare un indebitamento medio per impresa di circa 180 mila euro, cresciuto del 93% negli ultimi dieci anni.
Niente da fare: innamorato di gondole e mandolini il nostro imprenditore non demorde. In fondo – pensa -, basta fare impresa al nord e il pizzo lo si evita. Ma poi sfoglia il più importante quotidiano di economia italiano e resta basito: le zone che soffrono maggiormente sono proprio il milanese e il nord-est, dove le banche sono restie a concedere prestiti e, non avendo liquidità, chiedono il rientro immediato dei fidi, lasciando così gli imprenditori nelle mani degli ‘ndranghetisti che offrono denaro facile a condizioni apparentemente favorevoli, fino a quando non ti costringono a chiudere bottega e a cedergli la tua attività. Del resto, mafia, camorra e ‘ndrangheta sono le uniche Spa che non conoscono crisi: secondo l’ultima Commissione Parlamentare Antimafia, infatti, fatturano qualcosa come 150 miliardi l’anno.
A questo punto il nostro valoroso eroe inizia a vacillare seriamente. Il rischio di finire nelle mani dei criminali è troppo elevato. La partita poi è truccata: le mafie e la corruzione drogano il mercato, falsano la concorrenza e favoriscono la regolarizzazione degli extracomunitari, ma solo per sfruttarli come schiavi, al nord come al sud, nei campi di pomodoro di Rosarno come all’Ortomercato di Milano. Quella italiana è un’economia a capitale mafioso, fondata sull’evasione e sull’usura.
Eppure vi è ancora un barlume di speranza in lui. Possibile che in Italia non si possa proprio fare business? Magari sono gli italiani ad essere troppo severi con se stessi. Allora consulta i dati della banca mondiale e trasale: nella classifica sulla facilità di fare impresa per l’anno 2012, “Doing Business”, l’Italia arriva solo all’87° posto, subito dopo la Mongolia e appena prima di Jamaica e Sri Lanka. E il trend non lascia ben sperare: quattro posizioni più in basso rispetto al 2011 e nove rispetto al 2010. Lo stivale è 77° per la facilità di aprire una nuova impresa, 96° per la concessione di licenze edilizie, 109° per la facilità di ottenere energia, 84° per la velocità nel registrare le nuove proprietà, 98° per l’accesso al credito, 134° per la pressione fiscale e 30° per la risoluzione di insolvenza.
Ma ci sarà bene un’organizzazione degli industriali a cui rivolgersi per trovare aiuto, no? C’è, ma la sua presidente è la prima ad utilizzare procedure di ottimizzazione fiscale attraverso holding in Irlanda e Lussemburgo. E la stessa Marcegaglia Spa,nel 2008, è stata costretta a ricorrere al patteggiamento su una tangente Enipower e a pagare un risarcimento di circa 6 milioni di euro. Inoltre è attualmente in corso un’inchiesta ai danni del colosso mantovano dell’acciaio per falso in bilancio: tra il ’94 ed il 2004 sarebbe riuscito ad interporre società off shore nell’acquisto di materie prime, creando fondi neri e generando plusvalenze milionarie trasferite su conti correnti di banche svizzere intestate a società delle Bahamas, il cui beneficiario finale era Steno Marcegaglia. Salvo riuscire a far archiviare, nel maggio scorso, la parte che riguarda l’evasione fiscale, come ha scoperto Report, perché quei capitali sono stati condonati e scudati.
L’imprenditore forestiero a questo punto sbuffa dalle possenti narici, sbatte il pugno sul tavolo, si impunta e pensa che non è possibile: lui dimostrerà che fare impresa in italia, al contrario di ogni evidenza e in spregio dei luoghi comuni, è possibile. Ed è solo a questo punto che arriva l’acutissima presidente di Confindustria a svelargli l’aspetto più tremendo e sconveniente dell’Italia: i sindacati proteggono gli assenteisti cronici, i ladri e quelli che non fanno il proprio mestiere.
Eh no, questo è davvero troppo. Va bene l’evasione fiscale, la corruzione, le mafie, il pizzo, la ‘ndrangheta, il mercato drogato, i tempi per ottenere giustizia, le classifiche della banca mondiale, i fondi neri.. Va bene tutto! Ma in un paese dove i sindacati non ti permettono di licenziare proprio no, non ha nessuna intenzione di investire.
Valerio Valentini