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I cavalieri del fulmine sono tornati, tra i sovrani assoluti del thrash metal dell’epoca, realizzando uno delle migliori produzioni del tempo e distaccandosi saggiamente da quello che avevano realizzato nel precedente “Kill’em all” e valorizzando maggiormente, in questa sede, l’aspetto più oscuro legato alla propria musica. La prima vera caratteristica fondante di questo lavoro (anche se non l’unica) è certamente legata al gran numero di riferimenti letterari (e comunque non semplicemente “Metal Militia”) contenuti in esso: H. P. Lovecraft (citato solo nel titolo di un brano) ed Hemingway (il riferimento è a “Per chi suona la campana”), ma anche depressione, suicidio, pena di morte, esseri umani usati come cavie e apocalisse. Se da un lato la priorità diventa quella di combattere letteralmente “il fuoco con il fuoco” – dando sfogo ad una parossistica esigenza di porsi “against the world” che divenne presto caratterizzante del thrash metal e non solo – brani come “Ride the lighting” o “Fade to black” esprimono un’ansia di fondo, un’inquietudine lacerante che si traduce in migliaia di fobie terrificanti ambientate in scenari desolanti e post nucleari. Tutto questo in modo meno rigido di quello che si potrebbe pensare, visto che l’ultimo brano citato lascia un barlume di speranza per uscire dal tunnel – per quanto pessimisticamente ridotto ad un granello di sabbia – affidandosi esclusivamente a se stessi (“No one but me can save myself but it’s too late / Now I can’t think think why I should even try“). “Ride the lightining” rimane pur sempre il disco di passaggio tra la furia hardcore dell’esordio e la dimensione cinicamente tecnica di Master of puppets, ed è proprio in funzione di questa visione che si realizzano brani duali come “Creeping Death” da un lato (un quasi-anthem ispirato all’episodio biblico delle Dieci piaghe d’Egitto) e “The call of Ktulu” dall’altro (lunghissimo brano strumentale ispirato ad una delle letture preferite di Cliff Burton, H.P.Lovecraft). Ma la reale forza di questo lavoro si trae da pezzi poco noti al grande pubblico quali la velenosa ed incisiva “Escape“, che sembra voler razionalizzare il pessimismo cosmico dei precedenti incentrandosi – attraverso riff poco memorizzabili immersi in una struttura musicale piuttosto ordinaria – su un concetto ossessivo di fuga, di liberazione dalle catene e di lotta contro il proprio peggior potenziale nemico, ovvero se stessi (“No one cares but I’m so much stronger / I’ll fight until the end“). La stessa introspezione che la quasi-ballad “Fade to black” affronta mediante un approccio diretto e piuttosto cinico, e che “Trapped Under Ice” (che tratta di esperimenti di criogenìa) sembra voler rinchiudere all’interno di una stanza buia e gelida. Freddo, terrore e paura dominano questo secondo lavoro dei master of thrash americani, ma senza che questo diventi mai rigidamente autoreferenziale: e per quanto sembri banale ammetterlo, anche solo quest’ultima considerazione renderebbe RTL un disco di culto per una band quasi all’apice della propria carriera.
Tracklist
1) Fight Fire With Fire 2) Ride The Lightning 3) For Whom The Bell Tolls 4) Fade To Black 5) Trapped Under Ice 6) Escape 7) Creeping Death 8) The Call Of Ktulu