"Mi piace" su Facebook. Invasione di privacy
Creato il 11 luglio 2010 da Barbaragreggio
Un click sommesso, veloce, fatto d'impulso, ed ecco che ci si espone al pubblico giudizio. Basta iscriversi alla pagina di un autore che subito c'è chi si sente in dovere di farti sapere quello che pensa e come lo pensa. La privacy - mia - viene così invasa un sabato pomeriggio di luglio, quando due messaggi, in tutto similari e non compensativi, raggiungono la mia casella postale di facebook. "Una riflessione" questo l'incipit. Ho cliccato "mi piace" su Antonio Pennacchi et voilà, sono diventata un essere non pensante, non autonomo, che necessita di suggerimenti riflessivi, cose svelate da altri a cui la sottoscritta non sarebbe mai arrivata usando il proprio cervello. Clicco su "mi piace" e perdo il diritto - sacrosanto - di non essere invasa da messaggi provenienti da sconosciuti che analizzano e decostituiscono i contenuti - ritenuti falsi o falsati - del libro "Canale Mussolini" di Pennacchi. Non voglio entrare nel merito di ciò, ognuno la pensi pure come meglio crede, entro però nel dettaglio della mia privacy invasa. Se un privato cittadino - in questo caso lettore - decide di dare il proprio consenso ad un autore non significa schierarsi politicamente, ma approvare la validità di un testo. Validità letteraria, se il testo in questione è un romanzo e non un saggio storico. Ora, se davvero Antonio Pennacchi avesse deciso di mascherare la storia della sua famiglia per subdolo falso storico da usare a favore del suo editore (come sostenuto nei messaggi, che non riporto per rispetto alla privacy del mittente) allora mi sentirei tradita. Non mi pare, però, questo il caso. Lui ha scritto la sua storia - peraltro supportata da una lunga bibliografia - e per tale l'ha venduta. Certo esisteranno autori disposti a scendere a compromessi, pur di pubblicare un libro, ma Antonio Pennacchi non mi sembra il tipo da lasciarsi fascinare da certi giochi. Lui, il fasciocomunista per eccellenza, prima da una parte e poi dall'altra, uno che non ha peli sulla lingua e non si pone freni inibitori, definito al servizio di Berlusconi... forse eccessivo, no?
Ma torniamo a noi e all'oggetto di questo articolo: la privacy invasa. Essendo io maggiorenne, cittadina italiana e votante da un decennio buono, credo sia mio diritto non ricevere nella mia casella postale messaggi propagandistici celati da pseudo recensioni faziose. Attenzione, io non esprimo alcun giudizio politico né sull'opera in oggetto, né sulla disamina che ne viene fatta. Non cito, per rispetto alla privacy, il nome dell'autore del messaggio (a me sconosciuto e non presente nella mia lista di "amici"), né le sue testuali parole, certo però non mi va di rimanere a guardare.
Il lettore, come tale non necessariamente schierato politicamente, ha il sacrosanto diritto di leggere quello che gli pare, esprimere giudizi a riguardo, approvare o dissentire, rimanere deluso o appagato, fare ricerche successive o accettare le conclusioni dell'autore.
Io, però, non ritengo che una persona a me sconosciuta abbia il diritto di dirmi che quello che ho letto è una cosa piuttosto che un'altra. O meglio, prenderei in considerazione le sue opinioni se questa disamina - che deve essere ovviamente supportata da dati reali - venisse fatta pubblicamente, in uno spazio aperto a tutti dove discutere civilmente, ma non se ciò accade ricevendo messaggi privati. So discernere da sola il falso storico dalla realtà, e non per saccenza o supponenza, ma per buon senso, perché non prendo per oro colato tutto quello che viene stampato su un libro, ma distinguo tra storia e romanzo. Se, del caso, farò le mie ricerche e trarrò le mie conclusioni. A questo serve un vero romanzo, a non lasciare indifferenti. La pagina dell'autore andrebbe utilizzata per conoscere meglio lo stesso, apprezzarlo o criticarlo apertamente, ma non di certo ad utilizzarne i contatti a fini propagandistici di dubbio gusto.
La tua libertà finisce dove inizia la mia. E la mia inizia dove finisce la tua.
Barbara Greggio
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