Musica jazz l'aveva definito la rivelazione dell'anno. Era il 1981, e Michel Petrucciani, nato a dicembre del 1962, non aveva ancora compiuto vent'anni.
Affetto da osteogenesi imperfecta, una grave malattia che impedisce la fissazione del calcio nelle ossa, era alto meno di un metro e in quella prima intervista italiana aveva detto
"Nelle mie condizioni fisiche può accadermi qualcosa di brutto in ogni momento, e allora cerco di accelerare i tempi. E' una tendenza che nasce dall'essere terribilmente affamato di sapere, di vivere, di fare esperienze e dipende, in parte, dal fatto che nel mio stato fisico è possibile morire da un momento all'altro. A me piace tutto della vita, mi piace bere, mangiare, fare l'amore, conoscere gente, scherzare, fare casino; vivo intensamente soddisfacendo così la mia sete di vivere"
Non mi ero precipitata a comprare il disco, temevo che le recensioni entusiastiche che cominciavano a comparire sulle riviste fossero influenzate in gran parte dall'aspetto fisico di questo ragazzo, e che fosse in atto una sgradevole operazione commerciale per sfruttare il caso umano. Poi un giorno, in uno dei negozi specializzati che allora esistevano ancora e che oggi sono completamente estinti, qualcuno mette sul piatto questo LP
e capisco che non c'è nessuna subdola operazione commerciale in atto, questo pianista è semplicemente bravissimo. Punto. Comincio a seguirlo, compro i suoi dischi, li ho quasi tutti compresi quelli usciti di catalogo e ormai introvabili.
e vado a tutti i concerti che tiene dalle parti di casa mia. Convinco anche marito e parecchi amici ad accompagnarmi e, cosa strana, nonostante nessuno di loro sia appassionato di jazz, Petrucciani li conquista tutti. Prima di suonare ama dire che la cosa che gli piace più di tutte è suonare in trio: lui, il suo pianoforte e il pubblico. Dice anche, con il gusto un po' infantile di scandalizzare,
Per me suonare il piano è come fare l’ amore, come un orgasmo. È meraviglioso e non è pornografico farlo davanti al pubblico. Anzi, è legale
Qualche volta arriva in scena camminando appoggiato a due stampelle, qualche altra deve essere accompagnato in braccio e noi in platea siamo tutti col fiato sospeso per la paura che, stavolta, non ce la potrà fare. Invece, prodigiosamente, quel piccolo corpo deforme riesce sempre a compiere il miracolo e le sue mani volano, letteralmente, da un capo all'altro della tastiera. Non riesco a non pensare alla fatica immane che tutto questo gli deve costare, anche perchè le sue ossa sono così fragili che si rompono continuamente e lo costringono a lunghi periodi di inattività. Per le innumerevoli fratture che gli sono capitate dice che da bambino era quasi sempre in ospedale durante le feste di Natale, ed è per questo che lo odia. In un'altra intervista racconta che durante un brutto momento di sconforto aveva pensato al suicidio e, confidando nelle sue ossa di vetro, si era buttato a capofitto giù da una scala. Ma non si era fatto neppure un graffio e aveva concluso che, se non gli era successo nulla, una ragione doveva pur esserci e al suicidio non aveva pensato mai più. Una sera intorno alla fine del 1998 faceva freddo e nevicava, e per questo avevamo rinunciato ad andare ad ascoltarlo dalle parti di Boves. Non immaginavamo che se ne sarebbe andato soltanto poche settimane dopo e non avremmo potuto ascoltarlo mai più.
Aveva solo trentasei anni e qualche giorno, due mesi più di Mozart. Adesso riposa (si dice così, ma chi lo sa se poi è proprio vero) al Père Lachaise insieme a Isabelle, la sua ultima compagna.
Non cercavo la sua tomba, l'ho trovata per caso perchè è proprio di fianco a quella di Frédéric Chopin. Credo li abbiano messi vicini perchè devono avere un sacco di cose da dirsi.