Un personaggio controverso.
Il 22 marzo 1986 moriva nel supercarcere di Voghera uno dei personaggi più controversi della Storia d’Italia dal dopoguerra in poi, Michele Sindona. Le cause del decesso, archiviato poi come suicidio, furono individuate nell’avvelenamento da cianuro, assunto due giorni prima, mentre beveva una tazza di caffè nella sua cella controllatissima. Sindona, infatti, stava scontando una condanna all’ergastolo per omicidio. Raccontare Sindona, però, non è semplice, proprio perché la sua storia non è semplice. Per il giallista Lucarelli, ad esempio, potrebbe essere benissimo un romanzo giallo di John Grisham. Per Montanelli invece, la storia di Sindona è solo una propaggine delle vicende che hanno riguardato quella “cricca di affaristi” che era la P2. Chi era davvero , dunque, Michele Sindona? Dopo la laurea in giurisprudenza a Messina, inizia a Milano da commercialista e ben presto, diventa l’uomo di punta della finanza italiana ed internazionale. Importa i metodi di Wall Street a Piazza Affari (la prima OPA in Italia, porta la sua firma) e nel 1961 compra la sua prima banca, la Banca Privata Finanziaria, della quale, tramite la sua finanziaria Fasco, aveva già acquistato le quote maggioritarie dallo IOR. Durante i suoi viaggi in USA conosce personalità di spicco come Nixon (in lizza per le presidenziali), McCone e Harvy (i vertici CIA), il cardinale Marcinkus (che diventerà nel 1968 presidente ufficiale dell’amministrazione dello IOR), ma anche Daniel Porco e John Gambino, già allora individuati come principali esponenti delle famiglie mafiose italo-americane. Nel 1972 Sindona acquista il pacchetto di controllo della Franklin National Bank di Long Island, e nei due anni successivi riesce ad acquisire il controllo della Finabank di Ginevra e della Continental Illinois di Chicago arrivando ad essere definito, da Giulio Andreotti,“il salvatore della Lira”. Purtroppo però, nell’Aprile dello stesso anno i profitti della FNB crollano del 98%, e Sindona perde la maggior parte delle banche acquistate nei diciassette anni precedenti. Inoltre, da quest’altra parte dell’Oceano, già dal 1971 la Banca d’Italia aveva iniziato ad indagare sulla sua finanziaria Bastogi e stesso nel 1974 la Banca Privata Finanziaria viene dichiarata insolvente e messa in liquidazione coatta dalla magistratura di Milano.
Il colpo di scena.
E’ proprio nel 1974, quindi, come in tutti i romanzi gialli, che avviene il colpo di scena. Gli amici,infatti, non sono più così potenti. In USA il Watergate costringe Nixon alle dimissioni mentre, in Italia, la DC perde la battaglia referendaria sul divorzio. Invero, i governi DC avevano già reso possibile un anno prima il salvataggio del gruppo Sindona, con un prestito di 50 milioni da parte del Banco di Roma, scatenando le ire, tra gli altri, di Pertini e di La Malfa in Parlamento. In difficoltà, Sindona si rivolge quindi a Licio Gelli, Gran Maestro della P2, organizzando con lui, negli anni successivi, improbabili piani di salvataggio. Intanto, l’avvocato Ambrosoli, nominato unico commissario liquidatore della BPF, giorno dopo giorno scopre enormi irregolarità nelle attività della Fasco in Lichtenstein, nelle scritture contabili delle varie attività del finanziere siciliano, nel money-laundering dei soldi di Cosa Nostra. A fine ’74 la magistratura di Milano spicca così due mandati di cattura per Sindona che fugge dapprima a Taipeh dall’amico Chang Kai-Sek e poi a New York, per organizzare la propria difesa. La P2, nella persona di Gelli, in particolare, cerca in tutti i modi di evitare l’estradizione e di far passare il suo amico per un perseguitato politico, vittima innocente di una cospirazione comunista. Era proprio l’acceso anti-comunismo,infatti, che aveva avvicinato Sindona alla P2. Intanto il diligente avvocato Ambrosoli, incurante delle minacce, diventa,col suo lavoro, sempre più scomodo e l’11 luglio 1979 muore per mano del killer W.J. Aricò (Billy lo Sterminatore, sicario della mafia italo-americana). Aricò, catturato in USA, fa il nome di Sindona che, spaventato, inscena un improbabile rapimento arrivando a farsi sparare in una coscia, nella villa del boss Spatola in Sicilia, per poi arrendersi alle autorità di Manhattan.
Fin troppi punti interrogativi.
Ora, i classici complottisti italiani amerebbero porsi delle domande su quel cianuro che uccise Sindona, una volta estradato. Le domande rilevanti,invece, sono altre: perché Ambrosoli fu nominato UNICO liquidatore? Perché i documenti Interpol risalenti al 1967 (per la precisione 16/11/67 prot/123 n.516404), che individuavano Sindona come socio di Porco in traffici di stupefacenti, passarono evidentemente in cavalleria, nonostante le denunce del povero Mino Pecorelli sulla sua rivista OP? Perché i nomi dei 500 investitori celebri del gruppo Sindona, offerti dal banchiere disperato, in cambio di sconti di pena, non furono mai svelati? Ed ancora, perché il caso Sindona non potrebbe aver generato una concatenazione di eventi che tutt’oggi restano inspiegati ed influenzano lo scenario politico-sociale del nostro paese? E’ un caso che la sua fuga in Sicilia sia avvenuta proprio l’anno (78-79) in cui si affermava la nuova mafia dei corleonesi, i cui attentati hanno piegato l’Italia in due anche successivamente alla sua morte? Il finanziere era stato aiutato per gratitudine da Cosa Nostra, o era forse un ostaggio? E’ un caso che Pecorelli sia morto proprio prima di ricevere la famosa lista dei 500? E’ un caso che la eco delle operazioni sindoniane si ritrovi 30 anni dopo nelle cronache italiane (vedi lo scandalo Magnoni ed il dissesto Sopaf)?. E se il patrimonio di Mafia s.p.a., derivasse anche da quelle vecchie operazioni che Michele Sindona fece con i soldi degli Bontate e degli Inzerillo nel dopoguerra? “La Storia”, per dirla con De Roberto, “è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi.”.
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