Magazine Cultura
Questo racconto è leggermente atipico, nel senso che non rispetta i soliti canoni e le tempistiche classiche di un racconto breve. Patricia Highsmith è un'artista che spesso stupisce, scrive brani che fanno riflettere e colpiscono proprio dove farebbe più male, e questo racconto non è da meno. L'ambientazione è classica: un cimitero, adiacente ad un ospedale dove si svolgono esperimenti non proprio leciti su pazienti terminali malati di cancro. Tumori... un male che da sempre assilla il genere umano... Possono essere curati? Esiste qualcosa che attacchi le cellule mutate e le faccia regredire? Beh, alcuni medici credono di si e cominciano a sottoporre, prima a singoli organi già prelevati, poi a persone ancora in vita, sostanze cancerogene in alta percentuale, allo scopo di osservare le mutazioni che si vengono a sviluppare. Ma alla fine rimane un problema: dove mettere i cadaveri? Dove far sparire gli organi che dopo il trattamento sembrano essere aumentati di volume e , apparentemente, in grado di vivere anche senza il sostentamento naturale apportato dal sangue e dalla circolazione? Nel cimitero, ovviamente, e all'insaputa di tutti. Il problema è che queste masse non smettono di crescere, tutt'altro, e in breve anche altri cominciano ad accorgersi delle strane escrescenze che sbucano dal terreno come tanti funghi dai colori sbiaditi e mollicci. Come dicevo, questo racconto è atipico. Non ha un vero inizio e una vera fine, quelli ce li lascia supporre, con riflessione che vanno ben oltre le vicende narrate e ci spingono a porci domande sulla natura medica, sull'essere umano e sulle malattie. Sappiamo che una malattia ci danneggia, ci fa soffrire, ma siamo davvero sicuri che la guarigione sia sempre un bene? Con questo non voglio dire che dovremmo protrarre lo stadio di malattia, trascinando una situazione fino all'inverosimile. Anzi, me ne guardo bene. Però è innegabile che dopo aver letto il racconto non tutto ci sembri più come prima. Apparso per la prima volta nel 1985, nella raccolta Catastrofi più o meno naturali, si contraddistingue per la sua brevità (17 pagine circa) e per la carica riflessiva che si porta dietro. L'antologia stessa è votata su questo senso: le catastrofi citate nel titolo non sono quelle a cui siamo abituati, non si tratta di inondazioni o cataclismi di sorta. Sono terremoti interiori, cose che scuotono una società fin nelle fondamenta e la lasciano mutata dopo il loro passaggio. Sono vere e proprie catastrofi dell'animo, che segnano e non lasciano rimarginare le ferita. Difficilmente, in questo libro, troverete un brutto racconto. Certo, potrebbe accadere che leggendone uno vi sentiate turbati, anche offesi per certi versi, e se così fosse, allora vuol dire che hanno raggiunto il loro scopo. "Storie agghiaccianti di disumana follia"... questa la frase che ci accoglie fin dalla copertina... Buona lettura... se ne avete il coraggio!
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