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Il problema insorge quando il medico le fornisce il nominativo di un paziente che vuole farla finita nonostante abbia una salute di ferro: cominciano i dubbi etici in Miele che saranno sempre più grandi approfondendo la conoscenza con l'uomo, un ingegnere che vorrebbe farla finita solo per solitudine.
Miele è l'esordio alla regia di Valeria Golino e parla di una argomento tabù in Italia: l'eutanasia.
In una nazione in cui non c'è spazio neanche per avere una legislazione sul testamento biologico parlare di eutanasia , di suicidi assistiti , di dolce morte senza troppe implicazioni religiose è un rischio alto.
E la Golino si è dimostrata capace di assumerselo in un film che almeno ha il pregio di far riflettere su una tematica tanto personale e scottante.
Tematica che io per esempio, data la professione che faccio, mi sono trovato ad affrontare parecchie volte mentre presto cure ai miei animaletti adorati. E il mio principio laico è quello della dignità: proseguire fino a che le condizioni di vita del paziente siano dignitose e degne di essere chiamate vita.
Ho rifiutato tante volte di far l'eutanasia a un cane o a un gatto perchè non lo ritenevo giusto, perchè non vedevo le condizioni per operare in questo senso e poi è un qualcosa che mi fa stare male, non mi interessa guadagnare quei soldi. Però ci sono certi casi in cui l'eutanasia diventa quasi un atto d'amore verso un essere vivente che soffre, soffre realmente e allora perchè non procedere?
Perchè questo discorso non viene affrontato in medicina umana quando neanche gli oppiacei o altri farmaci anti dolore riescano a garantire l'assenza di sofferenza? E perchè non rispettare le volontà di una persona che nel pieno delle proprie facoltà mentali ha deciso che non vuol più andare avanti in quella maniera che ha poco di dignitoso?
Ecco, sto divagando ma Miele col suo stile silenzioso e rarefatto si è prestato molto bene a questo flusso di coscienza su un argomento così ostico, che ognuno tratta in base alla propria sensibilità.
La Golino si tiene ben lontana da menate religiose, la sua è una visione molto laica , così come è un coacervo di dubbi il personaggio di Irene / Miele, una che sembra andare in giro con una corazza tanto è impenetrabile alle emozioni sia nel suo lavoro che nella sua vita privata che è praticamente uno schifo, un continuo peregrinare alla ricerca del proprio centro di gravità tra una famiglia che brilla per assenza e una vita sentimentale che è un grosso punto interrogativo.
Però la sua corazza viene fatta letteralmente a fette dall'incontro con il "paziente" che vuole farla finita solo perchè non gli aggrada più vivere in quel modo.
Che fare allora?
Qui il film praticamente si ferma, non va più in fondo, la Golino si limita a documentare più che a giudicare, trincerandosi dietro un finale enigmatico aperto all'interpretazione di chi guarda.
Il muro che Irene ha costruito attorno a sè è comunque miseramente crollato.
Dal punto di vista registico la Golino opta per uno stile asciutto, senza troppi orpelli , con un ritmo placido che può scoraggiare i meno pazienti: scelta azzeccata anche se non tutto fila per il verso giusto.
A mio parere si richiama a due film in cui ha recitato nella sua ormai lunga carriera: due film accomunati dal silenzio dell'acqua, un conduttore di suoni talmente efficiente da non farne percepire alcuno, tanto si propagano velocemente.
Mi è parso di scorgere echi delle sequenze subacquee di Respiro di Crialese e il silenzio della piscina di Giulia non esce la sera, di Piccioni.
Due film lontani tra loro cronologicamente e anche artisticamente che però mi sembrano legati ora da Miele.
Jasmine Trinca è esplorata in ogni centimetro quadrato del viso e del corpo, quasi con affetto da parte della cinepresa .
E lei è brava a recitare un personaggio duro e fragile allo stesso tempo, afflitto da solitudine ostinata un po' come i pazienti a cui assicura il dolce morire.
Perchè in quel momento si è comunque soli....
( VOTO : 6,5 /10 )
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