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Millennium Development Goals: facciamo il punto

Creato il 27 novembre 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Martina Vacca

Millennium Development Goals: facciamo il punto
Dimezzare la percentuale di povertà della popolazione mondiale, assicurare l’istruzione primaria universale, promuovere la parità di genere e l’emancipazione femminile, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l’HIV e le altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo: sono le otto finalità siglate ONU, i cosiddetti “Millennium Development Goals”, vicine ormai alla loro deadline: il 2015. Sono trascorsi 13 anni da quando nel 2000 le Nazioni Unite, a termine di un percorso iniziato nel 1972 – anno della Dichiarazione di Stoccolma sull’Ambiente Umano –, sottoscrivevano gli otto Obiettivi di Sviluppo.

Ad oggi, alcuni progressi sono stati concretamente stimati. In materia di educazione, ad esempio, – anche su impulso del Global Education First promosso dall’ONU, realizzato con lo scopo di imprimere un’accelerazione sui MDG – in Nord Africa è stato registrato nell’arco temporale 1990-2011 un incremento del tasso di alfabetizzazione dal 68% all’89% e in Asia Meridionale dal 60% all’81%; lo stesso indice tra le giovani donne in Nord Africa è rapidamente cresciuto, raggiungendo i 28 punti percentuali, contro i 16 punti percentuali degli uomini. Tra il 2000 e il 2010 i tassi di mortalità per malaria sono diminuiti di oltre il 25 % e sono 700 milioni in meno le persone che vivono in condizione di estrema povertà, mentre tra il 1995 e il 2011 circa 51 milioni di malati di tubercolosi sono stati guariti. Questi dati, tuttavia, esprimono solo una piccola parte dei risultati raggiunti, mentre altre questioni restano ancora distanti dall’essere portate a una risoluzione e appaiono indeterminate e involute nei tempi di realizzazione degli obiettivi.

povertà
In particolare, lo sradicamento della povertà rimane una delle più grandi sfide in sospeso: le stime 2011-13 indicano che sono 842 milioni – ovvero circa una persona su otto – le persone che vivono in situazioni di estrema povertà. La sostenibilità ambientale, inoltre, resta un obiettivo piuttosto vago e fortemente minacciato dall’incremento delle emissioni globali di anidride carbonica, oltre che dal deterioramento dello stato della biodiversità in molte aree del mondo, come quella amazzonica.

Lo sviluppo sostenibile nel suo complesso pone problematiche a livello di concretizzazione e impone passi graduali perché si realizzi, se si assume come principio che la sostenibilità è una risultante di un’analisi attenta dei connotati sociali che identificano una società (status della salute della popolazione, del livello di istruzione ecc.) e che viene conseguita in maniera diversa in base alla variazione delle convinzioni etiche che le società stesse devono perseguire.

Resta ancora molto da fare, ma ci si interroga su quelle che potranno essere le priorità post-2015. Basterà implementare il lavoro sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio adattandolo alle dinamiche politico-economiche di un mondo sempre più multipolare e stravolto dalle crisi finanziarie o è necessario partire dall’analizzare le radici anziché la sindrome in sé di problemi come lo sviluppo sostenibile e la povertà?

Un approccio più incisivo assicurerebbe in qualche misura la durata e il mantenimento degli obiettivi raggiunti. Nello specifico, dal momento che l’80% della popolazione malnutrita vive in periferie rurali e le proprie uniche risorse di sopravvivenza sono i prodotti della terra, bisognerebbe che i presupposti della lotta alla fame fossero efficaci politiche agricole, aventi lo scopo di realizzare investimenti in infrastrutture e permettere di ricevere introiti agli autoctoni, nel quadro di una cooperazione anche locale. Discorso analogo per il settore industriale: delle politiche efficienti che permettano ai Paesi non avanzati di andare oltre le attività passive di estrazione di materie prime e dare un taglio dinamico che implichi maggiore partecipazione economica alle attività industriali, costituirebbe un valore aggiunto allo sviluppo del tessuto socio-economico di un Paese.

L’attuazione di piani finalizzati a porre le basi economiche ai Paesi in Via di Sviluppo per poter esigere maggiori aperture e regolamentazioni nei propri scambi con gli altri Paesi, potrebbe rivelarsi un passo avanti o un successo in termini di cooperazione su tutti i livelli.

ambiente
Sul piano ambientale sono diversi i progressi fatti negli ultimi anni, ma altrettanti i disastri e le sfide in attesa di essere portate a termine. Il capitale naturale, comprendente asset naturali terrestri e i servizi degli ecosistemi forniti da questi, subisce oggi un degrado generale tradotto in diminuzione della biodiversità, rarefazione di risorse naturali e surriscaldamento climatico. Gli accordi internazionali in seno all’ultimo Summit della Terra Rio+20 abbracciano la prospettiva tridimensionale dello sviluppo umano, ovvero quella economica, sociale e ambientale, adattabile a tutti i Paesi.

L’analisi di obiettivi universalmente validi anche dopo il 2015 dovrà amalgamarsi con un senso di consapevolezza e doverosità, seppur proveniente da bisogni diversi, comune a tutti gli Stati: quelli economicamente stabili, quelli emergenti e quelli sottosviluppati. Bisognerà in tal senso cooperare riconsiderando i punti salienti sui quali serve intervenire e adoperarsi per l’ottimizzazione delle azioni volte allo sviluppo e alla sostenibilità. Solo così potranno essere affrontati gli step successivi e si potrà aspirare al conseguimento di ulteriori traguardi in tutti i domini socio-economici internazionali.

* Martina Vacca è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Bologna)


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