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Mina Welby: “Sull’eutanasia basta con l’ipocrisia: tutti hanno diritto a una morte dignitosa”
Creato il 03 giugno 2014 da Animabella“Oggi in Italia chi ha i soldi può pagare un medico che gli pratichi l’eutanasia o può andare in Svizzera. E negli hospice ogni giorno vengono somministrate ai malati terminali con sofferenze inimmaginabili dosi di morfina tali da indurre la morte. Noi vogliamo dire basta a questa ipocrisia!” Mina Welby, co-Presidente dell’Associazione Coscioni, continua la lotta che aveva iniziato il marito Piergiorgio: nel 2006 Welby, affetto da distrofia muscolare, è stato staccato dal respiratore che lo teneva in vita e contemporaneamente sedato, in attesa che giungesse la morte. Da allora Mina lotta affinché una morte dignitosa sia garantita a tutti. Per questo ha depositato alla Camera una proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare l’eutanasia. La proposta di legge era stata presentata già lo scorso settembre, oggi lanciate una petizione online: perché? Quando arriveremo a 200mila firme, porteremo la petizione ai presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso, per chiedere di calendarizzare la discussione sulla proposta di legge e aprire finalmente un dibattito pubblico ampio e sereno sul tema. Pensa che oggi ci siano le condizioni?
Lo spero. Di parlamentari attenti a questi temi ce ne sono diversi, in tutti gli schieramenti politici. E poi c’è anche la recente presa di posizione del presidente della Repubblica che lo scorso marzo ha risposto a una lettera che Carlo Troilo gli aveva inviato in occasione dell’anniversario della morte di suo fratello Michele: una morte violenta, perché Michele – malato terminale – non aveva altra scelta che gettarsi dal terrazzo. Napolitano ha usato con Troilo più o meno le stesse parole che aveva usato con Piergiorgio, chiedendo al parlamento di occuparsi della questione. La vostra proposta di legge che cosa prevede esattamente? La proposta si articola in 3 punti: possibilità di rifiuto dei trattamenti sanitari, testamento biologico ed eutanasia per malati gravissimi, affetti da malattie incurabili e con una aspettativa di vita molto limitata. Ma la possibilità di interrompere l’accanimento terapeutico c’è già oggi. Il rifiuto delle terapie non deve essere legato necessariamente a quello che è definito “accanimento” terapeutico, ossia l’uso di terapie ormai inutili. Un malato deve poter rifiutare qualsiasi terapia, che sia accanimento o no. Ognuno di noi può rifiutarsi di prendere delle medicine o di sottoporsi a un intervento, anche se si tratta di terapie “utili”. Non si capisce perché a un malato terminale questo diritto debba essere negato. E ovviamente, così come si ha il diritto di rifiutare le terapie, si deve anche avere il diritto di interromperle. Ma c’è un nesso tra il rifiuto delle terapie e l’eutanasia? Certo che c’è, ed è la libertà di scelta. Ogni persona deve aver la possibilità di decidere come uscire da questo mondo. Abbiamo deciso di mettere espressamente l’eutanasia dentro la nostra proposta di legge proprio per evitare l’accusa secondo la quale il testamento biologico sarebbe un cavallo di Troia per l’eutanasia. Ecco, non c’è nessun cavallo di troia: il diritto all’eutanasia è strettamente legato al principio di autodeterminazione che sta alla base di questa proposta di legge e dunque l’abbiamo voluta mettere nero su bianco. Difficile che questo parlamento approvi l’eutanasia… Sarebbe già un bel passo in avanti se approvasse una buona legge che consenta il rifiuto delle terapie, sia quando il paziente è in grado di intendere e di volere – come nel caso di Piergiorgio Welby – sia per mezzo di un testamento biologico. Ma un testamento biologico vero e vincolante: se il medico non rispetta le volontà espresse, deve rispondere delle sue scelte. Se poi si giungesse persino a legalizzare l’eutanasia potremmo finalmente dire di avere anche in Italia una legge umana sul fine vita. Anche perché l’eutanasia c’è già di fatto, solo che è un privilegio di classe: chi ha i soldi il medico se lo trova oppure va in Svizzera. E sa cosa succede oggi negli hospice? Di fronte a un malato terminale con dolori insopportabili si somministrano grandi dosi di morfina e il malato in poco tempo muore. Ma in questo caso – direbbero i detrattori dell’eutanasia – l’intenzione non è quella di far morire, ma di alleviare le sofferenze. Ma basta con questa ipocrisia! In questo caso alleviare le sofferenze coincide con la morte. Bisogna smetterla di avere paura della morte: una morte che riempie gli schermi televisivi e le pagine dei giornali ma che è lontana dalle nostre vite quotidiane. Non dobbiamo aver paura del morire, ma dobbiamo lottare perché sia garantita a tutti una morte dignitosa.
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