Magazine Cinema
Durata: 145'
La trama (con parole mie): siamo nel 2054, e a Washington il crimine e gli omicidi fanno ormai parte del passato grazie all'innovativo dipartimento di precrimine.
Sfruttando le visioni di tre giovani allevati per vivere isolati dal mondo ed amplificare al massimo la propria sensibilità e chiaroveggenza, infatti, gli uomini guidati da John Anderton finiscono ogni giorno per arrestare ed assicurare alla Giustizia potenziali assassini colpevoli di delitti non ancora commessi, nel segno di un sogno creato dal loro direttore, Lamar Burgess, ormai in procinto di divenire una realtà nazionale.
Quando Anderton viene a contatto con la più dotata dei PreCog - così sono ribattezzati i sensitivi - e viene predetto un omicidio avvenuto per sua mano, il comandante in campo della Precrimine è costretto a darsi alla fuga nella speranza di poter invertire il corso del destino: purtroppo per lui in visita al dipartimento per verificare la sua funzionalità in vista del passaggio ad organo di controllo degli States interi c'è il giovane agente Danny Witwer, ansioso di fare luce sull'intera vicenda.
Ed i guai, per l'apparentemente inappuntabile John, sono appena cominciati.
Questo post partecipa alle celebrazioni dello Steven Spielberg Day, in compagnia di quelli che portano le firme del branco di squali cinefili qui presenti:
Aloha los pescadores
Cinquecentofilminsieme
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Il Bollalmanacco di cinema
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E' indubbio che, nonostante gli scivoloni degli ultimi anni, Steven Spielberg sia stato e resti uno dei registi dal talento visivo più incredibile del panorama statunitense moderno: il suo tocco, assolutamente magico, è sempre in grado, infatti, di lasciare almeno uno spiraglio aperto per quella meraviglia che, nel corso degli anni ottanta, portò alla realizzazione di opere magistrali come l'indimenticabile E. T., e dettò le regole alla base della generazione dei J. J. Abrams.
Altrettanto indubbia è la potenza del materiale tratto dai romanzi di Philip Dick, uno degli autori di riferimento della sci-fi letteraria di tutti i tempi, garanzia di qualità quasi assicurata per qualsiasi regista decida di lavorare a partire dalle visioni ancora assolutamente avveniristiche dello scrittore di Chicago.
Era dunque praticamente ovvio - come recita il testo di una nota canzone che, guarda caso, era legata al concetto di "altre forme di vita" - che il connubio tra i due producesse un lavoro degno di nota come Minority Report, action thriller di lusso che fila via rapido come gli interventi della Precrimine nonostante le due ore e venti di durata riservando allo spettatore una visione di altissima qualità - ottimi effetti, ritmo serrato ed alcune intuizioni che anticiparono, di fatto, il modo di girare ormai divenuto moda e subordinato al 3D - ed una serie di twist decisamente efficaci in grado di sorprendere anche quando la direzione della storia pare essere ormai definitivamente presa, senza considerare il consueto bagaglio di riflessioni che i lavori di Dick, di norma, finiscono per lasciare in eredità a chi li affronta.
Dunque, alle evoluzioni atletiche di un Tom Cruise scatenato - e per fortuna non travolto dal divismo come sarebbe stato con La guerra dei mondi - troviamo affiancati i risvolti di un dibattito etico legato al concetto stesso del precrimine e dell'essere arrestati per delitti ancora non commessi, senza contare quella che, di fatto, è la schiavitù dei PreCog che contribuiscono in maniera fondamentale al successo degli uomini di Anderton: e se questo non vi sembrasse abbastanza, le figure di Lamar/Von Sydow e Witwer/Farrell forniscono ulteriori sfaccettature ad una vicenda che riesce ad essere lineare ed estremamente complessa ad un tempo, e che all'intreccio macroscopico legato alle vicende del dipartimento unisce quello microscopico del dramma personale del protagonista, caduto nella dipendenza dalle droghe a seguito della scomparsa del figlio, evento che lo portò, anni prima, ad entrare nella speciale divisione precrimine.
Da padre, rivedere Minority Report in quest'ottica ha di molto approfondito l'esperienza della visione, e neppure il leggero calo presente nel finale - che ha il limite di giungere dopo quello che è il vero climax della pellicola, il momento dell'omicidio per il quale Anderton viene perseguito - è riuscito ad intaccare un'esperienza che, onestamente, non ricordavo così coinvolgente: e dall'ottimo scontro con gli ex colleghi nel vicolo sfruttando gli zaini a propulsione all'incursione dei ragni spia nel palazzo dove trova rifugio il tostissimo John, fino ai confronti con Witwer e la questione, per l'appunto, legata alla perdita del figlio, tutto contribuisce a rendere Minority Report uno dei migliori risultati dello Spielberg del Nuovo Millennio.
E se al buon Steven serve Dick per regalarci ancora grandi sogni, ben venga.
MrFord
"But don't you remember,
don't you remember?
The reason you loved me before, baby please remember me once more."Adele - "Don't you remember" -
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