Magazine Opinioni
[traduzione da El Pais, la prima parte qui]
Deve essere molto strano nascere in un paese nel quale le strade principali di tutte le città portano il nome di tuo padre, la sua foto è presente in tutti gli uffici amministrativi, quelli governativi, nelle aule scolastiche, negli ospedali; sue statue a cavallo o in posa marziale adornano le piazze, e i sacerdoti pregano per la sua salute e la sua anima in tutte le messe. E' come se il paese intero fosse parte del patrimonio famigliare e tutti i suoi abitanti, sudditi di tuo padre, siano suoi servi.
Tuo padre fa e disfa a suo piacimento; ordina di costruire una strada o un aeroporto, nomina e depone i ministri del Governo, suoi subalterni, detta le leggi, cambia la geografia: per una sua decisione, una valle intera rimase sommersa sotto una palude. Tuo padre è onnipotente: davanti a lui tremano cardinali e generali pieni di medaglie e nastri. Nei film del cinema, gli autori cambiano continuamente, solo uno rimane fisso: tuo padre, nei No-Do (film documentari, tipo i film Luce del ventennio), dove a volte andavi anche tu, accompagnava la mamma e entrambe tenevate un mazzo di fiori.
Ti abitui, da quando hai l'età per ragionare, a vedere tuo padre attorniato da cortigiani che gli rendono tributo e lo lusingano. Se devi credere ai tuoi occhi, è un uomo a cui molti voglio bene. Lo chiamano salvatore della patria, Caudillo...e anche a te voglio molto bene; tutto il mondo fa feste per te, ti vengono concessi tutti i capricci, le bambine si picchiano per essere tue amiche e tutti sono d'accordo sul fatto che tu sia bella, intelligente e simpatica. E' come vivere in un paese incantato, in un luogo da favola, e come nelle favole, ce ne sono di brutte: i rossi, questi esseri sinistri che tuo padre sconfisse in guerra, gli ebrei e i massoni, che cospirano continuamente contro questo eroe, tuo padre, che con mano ferma li perseguita e punisce: uccide tutti i cattivi o li mette in carcere, fa giustizia e assicura la pace e la prosperità di questa grande terra vostra, in cui siete molto amati e che si chiama Spagna.
Nella sua famiglia la chiamavano Nenuca e Carmencita. Fu educata da sua madre, perché suo padre ebbe occupazioni più importanti. Si sposò con il marchese di Villaverde ed ebbe sette figli, tutti nati nel palazzo del Pardo. Nel 2008 ha pubblicato un libro intitolato Franco, mio padre, nel quale racconta che suo padre era molto affettuoso ed estroverso e che era solito cantare zarzuela, ma la guerra gli cambiò il talento "per il senso della responsabilità". Ha detto che a suo padre non gli dava fastidio che venisse chiamato dittatore perché non gli sembrava niente di male, una cosa coerente col suo modo di pensare: per Franco ciò che non era buono era la democrazia.
Secondo Carmen Franco, suo padre fece molte cose buone: innalzò il livello di vita in Spagna e creò la classe media, "che ora esiste e che prima di lui non esisteva". Il progresso del paese, per sua figlia, fu merito del padre e non dei suoi abitanti, Sulla responsabilità politica sotto la dittatura di suo padre, chiarisce che "non si parlava di questo in casa", e per quanto riguarda la pena di morte, suo padre era a favore della legge del Taglione. Era anche molto legato alla monarchia, ha detto, e confidava nel fatto che il Re Juan Carlos seguisse fedelmente i principi del regime, facendo capire che i franchisti, e tra questi la figlia di Franco, si sono sentiti traditi.
La nostra transizione non è stata cruenta, per fortuna, ma ci fu un prezzo da pagare per questo. Non ci furono condanne ufficiali del regime franchista, né delle atrocità e degli eccessi del dittatore; una legge di amnistia ha impedito di poter chiedere giustizia per i crimini commessi durante la Guerra Civile. La miglia di Franco non fu costretta ad esiliare, né ad essere espropriata dell'enorme patrimonio che il dittatore accumulò durante i suoi anni di governo; hanno continuato a passare le vacanze nel maniero di Meirás e a Carmen è stato dato il titolo di duchessa di Franco con Grandezza di Spagna ed ora vive tranquillamente, tranne per qualche guaio, come quando la polizia la fermò all'aereoporto di Barjas, piena di gioielli, diretta verso la Svizzera. Dubito che Carmen Franco provi rimorso o vergogna per ciò che fece il padre; credo che lo consideri un male necessario e che, sia stato quel che sia stato, dovette mettere fine ai rossi. Quindi, ho il sospetto che, a differenza di Svetlana Stalina, non si senta sopraffatta dal peso della colpa del padre, perché secondo lei non era colpevole di nulla.
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