Il diritto alla morte come parte integrante dei diritti della vita è un tema che sento profondamente, per vari motivi. Il più lapalissiano è che tutti dobbiamo morire, quindi è ovvio che, superata l'età in cui ci si sente virtualmente immortali (nel senso che l'idea della morte nemmeno ci sfiora), si finisca per pensare alla morte. Reputo la morte una straordinaria opportunità, un dono se si ammette l'esistenza di una divinità, perché ci costringe a dare un senso alle nostre esistenze, a lasciare orme che possano essere seguite e che non vengano cancellate al primo soffio di vento. Parlo di opportunità, potrei parlare di fortuna, perché essere mortali non è una maledizione ma una fortuna, sebbene il trapasso, sia che ci conduca verso il nulla o ad una nuova forma di esistenza, comporti sempre il dolore del distacco. E' una fortuna perché siamo moralmente incitati a lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ereditato dai nostri padri, questo indipendentemente dagli esiti che, ahimè, possono essere finanche disastrosi.Tutto ciò, però, trova senso solo se si accetta che la vita debba essere dignitosa sino in fondo, e non deve esserlo per gli altri o solo per gli altri, ma soprattutto per se stessi.
E' l'individuo che deve percepire la dignità della propria vita : se non lo è, anche in virtù di quanto detto sopra, deve lottare affinché lo divenga. Questo in ogni momento della vita, anche nell'ultimo, ovvero nella morte.Per questo non solo è lecito, ma è addirittura doveroso che venga combattuta la mentalità oscurantista di certi rappresentanti del mondo religioso e che si arrivi presto alla completa libertà di scelta, peraltro già ampiamente prevista nella principale religione del paese (libero arbitrio), mentre viene totalmente esclusa nell'Islam che non a caso significa "sottomissione". Libertà di scelta che si deve concretizzare nel cosiddetto Testamento Biologico.
Veniamo al motivo di questo post e della lunga (e spero non tediosa) introduzione.Oggi su Avvenire c'è un editoriale di Francesco D'Agostino intitolato "L'uso estremo di un estremo gesto" con tanto di occhiello riportante "Se si strumentalizza un suicidio". Come mio solito prenderò frase per frase e cercherò di analizzane i contenuti:
È stato un «estremo scatto di volontà» quello che ha portato Mario Monicelli a uccidersi? Chi può dirlo? Il suicidio è un gesto troppo tragico, troppo solitario, troppo estremo per poter essere decifrato e definito in modo perentorio e univoco. A questo si aggiunga che anche gli stati d’animo più frequenti nella vecchiaia, nella vecchiaia avanzata, come quella cui era giunto Monicelli, possono essere decifrati nelle loro molteplici valenze solo con estrema difficoltà. Di una cosa sola possiamo essere certi: tutti gli uomini sentono il bisogno di non essere lasciati soli, di non essere abbandonati; gli anziani e i malati più di tutti gli altri.
Chi può dirlo? Già, nessuno può davvero sapere cosa passasse nel preciso istante nella testa del grande regista scomparso. Nulla da dire, se non che a termine del capoverso l'autore lascia intravvedere nelle sue certezze quello che a suo modo di pensare possa essere stata la causa del suicidio. Purtroppo ciò che dice non è del tutto vero, perché la solitudine spesso viene ricercata ed è strano che proprio un cattolico sia dimentico delle esperienze di eremitaggio che hanno caratterizzato molti esponenti della sua stessa religione, uno su tutti San Francesco d'Assisi, cui l'esperienza fu sicuramente causa del degenerare della sua salute fino a consegnarlo nelle braccia di sora nostra morte corporale.Va da sé che chi necessita aiuto lo deve avere al di là di una richiesta che per vari motivi non viene inoltrata (infermità, orgoglio). Rimane però aperto il problema di chi invece rifiuterebbe l'aiuto per precisa e libera scelta, e parlo al condizionale proprio perché tale scelta oggi in Italia non è libera.
Ecco perché utilizzare il suicidio di Monicelli come argomento per perorare l’approvazione di una legge eutanasica è scorretto e fuorviante. È scorretto, perché la legge, qualsiasi legge, per sua natura non è chiamata a regolare situazioni estreme, ma standard, ordinarie, normalmente ripetibili, valutabili con fredda pacatezza: non è questa la condizione in cui si trova un suicida, così come non sono queste le condizioni in cui si trovano i malati terminali, gli anziani colpiti da grave disabilità e più in generale i soggetti afflitti da forme depressive gravi, che alterano la volontà e possono attivare desideri patologici di morte, che è doveroso che i medici combattano.
Falso. Ogni cosa in quanto tale può essere motivo di riflessione e quindi di discussione. Capisco che per un credente vi siano cose a cui crede che non vuole vengano messe in discussione ma, poiché il suo credo non è universale e che in tali casi maggioranza non significa nulla, ogni argomento può e deve essere discusso, non fosse altro per trovare un compromesso o una soluzione. Che la legge non debba regolarizzare situazioni estreme lo ricordi magari all'attuale Presidente del Consiglio e ai vari leccapiedi del Vaticano che volevano una legge in tre giorni per salvare, a loro dire, quel che rimaneva della vita di Eluana Englaro. La legge è ovvio che non debba occuparsi di situazioni estreme, ma ha il dovere di prevenirle. Ecco perché è fondamentale, affinché la situazione non divenga estrema, che si abbia la possibilità di redarre un testamento quando si ha facoltà di farlo: in tal modo ognuno avrebbe piena responsabilità delle proprie decisioni.Ad ogni modo è contraddittorio, almeno dal punto di vista dialettico, che ci si riferisca al singolo caso per confutare e ad una pluralità di casi per sostenere. Ma non è stata l'unica contraddizione né, come vedremo sara l'ultima. Procediamo:
Ma soprattutto è fuorviante pensare che possa davvero essere giusta una legge sull'eutanasia, anche la più severa possibile e immaginabile, quella cioè che legalizzi l’eutanasia solo quando questa fosse espressione dell’autonomia della persona, solo quando fosse richiesta con piena coscienza e adeguata informazione dal malato terminale. Nei Paesi in cui sono state approvate leggi del genere si è ottenuto un solo autentico effetto: quello di burocratizzare il processo del morire, incrinando profondamente la deontologia ippocratica, favorendo l’abbandono dei malati e inducendoli a proiettare sul medico l’immagine inquietante di chi è disposto, e non solo in linea di principio, a porre intenzionalmente termine alla loro vita.
Questa, la parte centrale dell'articolo è mistificatoria e dimostra per l'ennesima volta l'incapacità dei credenti di rispettare credenze e sensibilità diverse dalla propria, al di là di un buonismo di facciata, tanto ributtante quanto intimamente falso. E' talmente falso che la maggior parte delle persone cosiddette malate terminali, o meglio quelle che non riescono ad ottenere una pietosa morte per vie traverse, si spostano in Svizzera (almeno qui al Nord) e senza molta burocrazia dipartono.Pretestuosa e contraddittoria con quanto scritto sopra dallo stesso articolista, l'idea che si incrini in qualche modo la "deontologia ippocratica", perché l'etica professionale è strettamente legata alla morale. Inoltre, a ben vedere, questa deontologia ippocratica quando cristiana è quella per cui, ad esempio, negli ospedali lombardi in mano a Comunione e Liberazione, si impone che vengano fatte resistenze per introdurre il parto cosiddetto indolore, e nello stesso ambito, che si facciano pressioni al limite della denuncia (e anche oltre visto la quantità delle stesse...) per convincere donne a portare a termine gravidanze non desiderate, anche e soprattutto, quando vi sono serie preoccupazioni per la salute fisica o mentale della madre (es: feti gravemente malformati), ritenuta di fatto un semplice veicolo alla vita che per "magnanimità" divina deve sempre avvenire a costo di sofferenze fisiche.Questo ipotetico incrinamento della deontologia medica è quindi un enorme falsità, l'ennesima mistificazione, come del resto l'idea che un medico che si renda disponibile a rispettare le volontà del morente, sia destinato in breve tempo a trascurare i suoi pazienti e a, niente poco di meno, favorire l'abbandono del malato o a prendere iniziative per causare la morte, come un sanguinario Mengele.Favorire l'abbandono: mi chiedo se D'Agostino legge quanto scrive e se davvero sia convinto di questa idiozia.Ma al di là delle mere convinzioni dell'articolista, la libertà di scelta prevede che un paziente si rivolga al medico di cui nutre fiducia: il cattolico a chi fino all'ultimo lotterà per curare ciò che non è curabile sperando più che nella scienza nel miracolo, il non credente a chi sarà disposto a rinunciare a ciò che il paziente ritiene accanimento. Ne consegue che l'idea cristiana è illiberale e vincola l'uomo: altro che libertà in Cristo!
Non è corretto continuare a ripetere, come si fa da parte di tanti, che il medico che pratica l’eutanasia altro non fa che rispettare la volontà del paziente, perché l’esperienza ci dimostra che questo non è vero: a parte il fatto che accertare rigorosamente la volontà dei pazienti terminali è pressoché impossibile, è un dato di fatto che, dovunque si pratica legalmente l’eutanasia, si assiste all’inevitabile e arbitraria dilatazione burocratica di questa prassi, che viene posta in essere anche quando il consenso del malato non può esserci (come nel caso dell’eutanasia neonatale a carico di bimbi malformati) o non può avere alcun valore giuridico e morale (come nel caso dell’uccisione eutanasica di malati di mente o di malati di Alzheimer).
Qui siamo di fronte a pura disonestà intellettuale. Innanzitutto per il semplice fatto che si da per assodato una cosa che non è verificabile in quanto la legge attualmente vieta l'eutanasia, quindi non si capisce come si può affermare che "l'esperienza ci dimostra" dato che non vi può essere esperienza. L'accertamento delle volontà del paziente terminale, a maggior ragione di quelli in stato vegetativo permanente, non può essere sempre desunta al momento ma lo può essere a patto che si conceda il diritto di redigere il testamento biologico. In tal caso, le volontà sono chiare al di là di ogni ragionevole dubbio: se infatti si mettesse in dubbio il testamento biologico avanzando l'idea di un ripensamento, allora bisognerebbe rivedere anche le volontà sulle eredità in punto di morte, specie se sono in contraddizione con quanto affermato in altri momenti. Mi chiedo quanti beni in tal caso dovrebbe restituire la Chiesa (o ad esempio, se avremmo a Milano un ospedale chiamato San Raffaele...).
Non è attraverso l’esaltazione di inquietanti legislazioni eutanasiche che va espresso il rispetto che tutti dobbiamo alla memoria di Monicelli. L’impegno per la vita, per la salute, per la cura di tutti i pazienti, anche e soprattutto di quelli inguaribili e di quelli terminali deve esprimersi in ben altro modo: moltiplicando l’impegno sociale, giuridico, finanziario e morale nei confronti di quegli esseri umani che sono i più fragili di tutti: i malati e gli anziani. È indubbio che la malattia e la vecchiaia costituiscano i problemi cruciali non solo del nostro tempo, ma soprattutto degli anni a venire, ma è altrettanto indubbio che a questi problemi le spinte per la legalizzazione dell’eutanasia offrono non una risposta, ma una scorciatoia intellettualmente disonesta.
Lasciamo perdere la prima frase del tutto decontestualizzata e, comunque la si voglia vedere, banale. Sulla seconda non ci sarebbe nulla da ridire: sono perfettamente d'accordo e non credo vi sia qualcuno che possa dubitare che la società e chi la governa debba impegnarsi a dare assistenza, anzi, la migliore possibile, a chi ne bisogna. Veniamo quindi all'ennesima contraddizione, ovvero l'ammissione che il problema della malattia c'è, anzi si introduce, chissà perché, persino il problema della vecchiaia (sic!). Quindi i problemi non sono singolarità ma potrebbero essere (ed anzi, se ci togliessimo i salami dagli occhi, sono), abbastanza ordinari affinché i legislatori mettano mano. A maggior ragione visto che il prolungarsi della vita media garantito dal benessere non sempre corrisponde ad una qualità di vita dignitosa; in altre parole, la scienza attualmente sa spesso come come prolungare la vita ma non sempre è in grado di mantenere o peggio di curare (vedasi Alzheimer, cancro e via dicendo) e quindi di migliorarne la qualità al punto da poterla definire dignitosa.Va da sé che nessuna volontà propria dell'individuo che riguarda la propria persona, a meno che non causate da degenerazioni mentali che ne invaliderebbero la valenza, può essere considerata disonesta, proprio perché riguarda sé stessi e non altri. Viceversa è il voler imporre volontà proprie quando si parla di vita di altri che è disonesto al punto che sottintende, senza giri di parole, una convenienza personale, sia essa vil denaro o al meglio cibo per alimentare il proprio smisurato egoismo.Sempre più ridicolmente malcelato.