Magazine Diario personale
Marzo.A marzo si comincia a fare mente locale sui vestiti di mezza stagione dell’anno scorso. Si comincia a pensare che forse, se si è nel posto giusto al momento giusto, si può intravvedere la primavera, con i suoi fiorellini e gli uccelli che fanno cip cip.A me prende un colpo. Per prima cosa ho il terrore degli uccellini, che (da stronzi che sono) annusano la mia paura, mi puntano e mi attaccano nove volte su dieci. Anche i piccioni: se ne vedo uno attraverso la strada. Per quanto riguarda i vestiti di mezza stagione, mi girano le palle perché mi ricordo che l’anno scorso pensavo: a marzo non mi andranno più bene perché sarò dimagrita di una decina di chili. E invece porca l’oca, mi stanno a pennello. Stronzi anche loro e pure miei chili in più.E i fiorellini gialli mi fanno starnutire.Marzo è anche il mese in cui è morto Lucio Dalla. Un anno fa. Lucio Dalla per quelli della mia generazione è sempre stato un punto fisso. Nessuno aveva mai messo in dubbio la sua presenza, calcolato una sua possibile assenza. Anche se non lo ascoltavo più tanto; anche se quel parrucchino facevo fatica a digerirlo. Lucio Dalla rappresentava per me una certezza a priori. E quando scoprii da una frase detta da Folco Orselli su facebook che era morto, scoppiò in me una malinconia che allora reputavo addirittura esagerata. Passai la mattina a piangere ascoltando le sue canzoni su Youtube: Stella di Mare, Il Parco della Luna, Tango. E soprattutto Cara. Ancora adesso ascoltandolo sento il sapore di quella tristezza dentro di me. E anche per questo, da allora, marzo è diventato un mese triste.Come se non bastasse, è anche il mese della festa del papà. Che io odio perché non posso chiamare nessuno e dire “non ti faccio gli auguri che la festa del papà è una cagata e noi non l’abbiamo mai festeggiata”.Marzo vuol dire che mancano quattro mesi al mio compleanno, che quando ero piccola non vedevo l’ora arrivasse e adesso mi mette un’ansia tremenda. Passi che non sono più ventenne e passi (a malincuore) che non sono più neanche trentenne. Ma quarantacinque sono veramente troppi. Non so se ce la faccio. In quattro mesi devo fare tutto quello che avrei voluto fare nella prima metà della mia vita, ma non so neanche da che parte cominciare. Avrei voluto viaggiare di più, avrei voluto avere un mio appartamento, avrei voluto essere una strafiga, ma di quelle che si alzano la mattina e son così, che si portano in giro la loro bellezza quasi controvoglia. Avrei voluto leggere Moby Dick e dire che bello, lo voglio rileggere. Avrei voluto avere una bella carriera. Avrei voluto marciare con le femministe, vedere un’Italia senza governi messi insieme con la cucitrice. Avrei voluto imparare quelle cose che dici: questa cosa la so, la metto da parte che poi un giorno torna buona. Avrei voluto avere i cassetti belli ordinati come quelli di mia madre che stira anche le mutande e gli stracci della polvere. Avrei voluto abitare vicino alle mie sorelle. Avrei voluto aver risolto tutte le cose mai risolte malgrado anni di terapia. Avrei voluto imparare a fischiare con le dita. Avrei voluto avere un ammiratore segreto. Avrei voluto. Ma dove vuoi andare dove, mi dice la mia vocina che a volte non riesco a sopprimere. Sta buona, va là, che alla tua età le persone come te le chiamano signore, e non si fanno più troppe domande cretine. Sono adulte, capito? Adulte!Non ce la farò mai.
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