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I placodermi, come l'esemplare definito CMNH 8130 (Holdenius holdeni) custodito al Museo di Storia Naturale di Cleveland, erano sostanzialmente grossi pesci corazzati che raggiungevano una lunghezza di oltre otto metri, e che potevano spezzare in due uno squalo di due metri con i loro denti massicci e affilati, e con un solo morso.
Sembra inoltre che i placodermi fossero dotati di un appetito insaziabile, tanto insaziabile da portarli a nutrirsi di qualunque cosa, fino ad inghiottire bocconi grossi quanto la metà della loro lunghezza. E pare sia stato proprio l'appetito eccessivo dell'esemplare del museo di Cleveland a portare questo animale alla morte.
Se vi trovaste in mare aperto in compagnia di uno squalo lungo due metri, sarebbe molto facile intuire chi dei due sia in pericolo. Ma circa 370 milioni di anni fa nuotavano nell'oceano esseri viventi che con molta facilità avrebbero rimpiazzato gli squali nei vostri incubi, facendo diventare il predatore acquatico più temuto dell'era moderna un semplice bocconcino prelibato per un placoderma.
Pare che l'esemplare CMNH 8130, lungo quasi 3,5 metri, fosse intenzionato ad addentare uno squalo di un paio di metri di lunghezza. Il piano era semplice: morderlo e spezzarlo in due pezzi, per poi ingoiarli con calma e saziare l'appetito. Ma la preda non era di certo tra le più facili.
Lo squalo era infatti uno Ctenacanthus, appartenente ad un'ordine ormai estinto e considerato come l'antenato degli squali moderni. Morfologicamente non era molto differente dagli squali che conosciamo, ma era dotato di una caratteristica fisica che aumentava di molto le sue possibilità di sopravvivere all'attacco di un predatore.
I ctenacantiformi erano infatti dotati di grosse spine cartilaginee inserite all'interno dei raggi delle spine dorsali, e collegate alla muscolatura dell'animale, cosa che consentiva a questi squali di poterle sollevare per difendersi.
Quando il placoderma ha tentato di azzannare lo squalo, la preda ha sollevato le spine, facendo in modo che queste si conficcassero nel palato del predatore e penetrassero nella scatola cranica, uccidendolo all'istante.
Brutta fine per un predatore così formidabile, ma una gran fortuna per i paleontologi. Dopo aver ucciso il placoderma, il Ctenacanthus si è liberato dalla bocca del predatore e ha continuato la sua esistenza come se nulla fosse, senza rendersi conto che la morte fulminea provocata dalle sue spine avrebbe favorito il rapido processo di fossilizzazione grazie al quale è stato possibile ricostruire questa storia.
In un tempo relativamente breve in termini evolutivi, circa 20 milioni di anni dopo l' "incidente", i placodermi si sarebbero estinti dai mari di tutto il mondo, lasciando campo libero alle loro prede, gli squali, che iniziarono a dominare gli oceani del pianeta.
A Candidate For A Darwin Award: A 370Ma Placoderm
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