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"morte di un uomo felice": le corde difficili di un paese vissute (e subite) da un'anima inquieta
Creato il 10 ottobre 2014 da Alessandro @AleTrasforiniE' in estrema sintesi questo il quadro descritto dal libro "Morte di un uomo felice", scritto da Giorgio Fontana e pubblicato da Sellerio editore. Il bilancio di tentativi che, giorno dopo giorno, un essere umano prova a costruire per mantenere in costante equilibrio vita individuale e dimensione lavorativa. La sua vita si muove in un contesto storico difficile, proibitivo, specialmente per chi ha il dovere di mantenere l'ordine delle cose. Il prospetto della dimensione storica risulta chiaro sin dalla copertina:
"[...] Milano, estate 1981: siamo nella fase più tarda, e più feroce, della stagione terroristica in Italia. Non ancora quarantenne, Giacomo Colnaghi a Milano è un magistrato sulla linea del fronte.
Coordinando un piccolo gruppo di inquirenti, indaga da tempo sulle attività i una nuova banda armata, responsabile dell'assassinio di un politico democristiano. [...]"
Il quadro di fatti, luoghi, ansie e vicende prova a bilanciarsi al meglio possibile con le dimensioni esistenziali di questo uomo, costantemente alla ricerca di un punto di minor dolore e maggior felicità individuali possibili:
"[...] Il dubbio e l'inquietudine lo accompagnano da sempre.
Egli è intensamente cattolico, ma di una religiosità intima e tragica.
E' di umili origini, ma convinto che la sua riuscita personale sia la prova di vivere in una società aperta. E' sposato con figli, ma i rapporti con la famiglia sono distanti e sofferti.
Ha due amici carissimi, con i quali incrocia schermaglie polemice, ama le periferie incerte, il calcio, gli incontri nelle osterie. [...]"
La trattazione narrativa si muove provando a riabilitare il presente ed il passato personale e personalmente intimo di questo uomo-magistrato.
Alla dimensione esistenziale fatta di conflitti e di ricerche personali ne è affiancata un'altra, ben più pesante e profonda, capace di radicalizzare forme conflittuali di complicata risoluzione:
"[...] Dall'inquietudine è avvolto anche il ricordo del padre Ernesto, che lo lasciò bambino morendo in un'azione partigiana. Quel padre che la famiglia cattolica conformista non poté mai perdonare per la sua ribellione all'ordine, la cui storia eroica Colnaghi ha sempre inseguito, per sapere, e per trattenere quell'unica persona che ha forse amato davvero, pur senza conoscerla. [...]"
Da questo punto emerge pertanto il tentativo di "bilanciare" l'esistenza di una trama complessa, affidando le trame narrative alla storia del figlio Giacomo e del padre Ernesto. Tanto lontani nella storia, eppure così vicini e vivi nella lotta verso forme di male a loro contemporanee.
Storie di ordinaria ricerca della giustizia, in un contesto storico nel quale il senso di ingiustizia provava a sfregiare il complesso mosaico di una società in procinto di espletare una trasformazione. Storie di ordinari crepuscoli, raccolti al tavolo di osterie collezionando dialoghi con persone sulla soglia della loro stessa (potenziale) umanità. Le forme di ricerca intima ed individuale di punti di equilibrio convergono, al meglio possibile, verso la necessità di poter indagare attraverso le fibre di un Paese ferito mortalmente.
Lo squilibrio che certe vicende causano nell'anima di chi "indaga vivendo" (per lavoro e non solo per indole) è determinato dai pesi che certe indagini possono causare in una singola anima. E' anche questa una parte del quadro attraverso cui il magistrato-uomo Colnaghi cerca di dar voce ai propri timori ed alle proprie individuali ansie per un'Italia in disfacimento:
"[...] L'inchiesta che svolge è complessa e articolata, tra uffici di procura e covi criminali, tra interrogatori e appostamenti, e andrà a buon fine.
Ma la sua coscienza aggiunge alla caccia all'uomo una corsa per capire le ragioni profonde, l'origine delle ferite che stanno attraversando il Paese.
Si risveglia così il bisogno di immergersi nella condizione degli altri [...] per riconciliare la giustizia che amministra con l'esercizio della compassione.
Una corsa e un'immersione pervase da un sentimento dominante di morte. [...]"
Una storia, quella di Giacomo Colnaghi, che sembra muoversi in parallelo a quelle di un padre mai conosciuto e di un Paese devastato anche nelle sue fibre emozionali. Le storie che si dipanano per realizzare questo equilibrio si acuiscono e si radicalizzano in un dialogo con "il" catturato, con quell'uomo che contribuirà a rendere realizzato il lavoro e l'opera del magistrato Colnaghi.
Un attacco alle ragioni, una volontà di non resa nei confronti di atti che erano votati alla distruzione delle fondamenta su cui uno Stato deve basarsi: dal dialogo fra i due si evince un conflitto che va oltre le parti, oltre il lavoro di magistrato, oltre la dimensione del "devo sapere cosa ti ha spinto ha fare questo". Un bilancio fatto fra arrestato ed accusante, un tentativo di descrizione dei problemi di un Paese descritti mediante due diversi, complessi e distanti punti di vista:
"[...] se vuole capire deve cominciare ad ammetterlo: non abbiamo cominciato noi.
Ha cominciato lo Stato. Io non avrei nemmeno alzato un dito se non ci fossero stati anni, decenni di violenza da parte dei padroni.
I cortei di operai dispersi con la forza, con le armi.
Le proteste che finiscono ogni volta nel sangue. Stai zitto, china la testa e lavora, altrimenti ti portiamo via tutto, ti facciamo morire di fame.
E le bombe, dottore, le bombe. I depistaggi della Dc.
I silenzi. Il sostegno ai fascisti, lo stato di polizia.
Milano, Brescia, Bologna, il treno Italicus: tutta roba piovuta dall'alto, senza rimorso. E voi chiamate noi terroristi?
No, così è troppo comodo. Noi [...] siamo parte di tutto ciò che avete fatto.
Ne siamo la diretta conseguenza, e lottiamo perché tutto questo schifo non ci sia più.
Lottiamo per i deboli e per la rivoluzione. [...]"
All'opinione dell'arrestato si contrappone il giudizio del magistrato, mediante una disvelata concretizzazione di un equilibrio umano difficile da perseguire e concretizzare in un momento così delicato:
"[...] non è così che si risolve il problema.
E tutta questa violenza chiederà vendetta. La sta già chiedendo.
La gente comune a cui avete tolto un padre, o un fratello, o un amico; i deboli di cui vorrebbe farsi difensore [l'arrestato] e che mai hanno pensato di mettersi a sparare; tutti, tutti stanno chiedendo vendetta. Andrà sempre peggio, lo capisce? State facendo il gioco degli oppressori. [...] comunque io non servo lo 'Stato' che ha in mente lei. Io servo la giustizia. [...] I mezzi e i fini evono stare alla stessa altezza [...] Altrimenti è tutto perduto.
E naturalmente non vi è mai passato per la testa che quelle persone che giudicate siano persone qualsiasi, vero? Senza connessione alcuna con i centri del potere che volete piegare.
Padri di famiglia senza colpe, semplici individui che facevano il loro lavoro.
Che cercavano di rendere migliore lo Stato che tanto odiate.
No, erano tutti dei boia, tutti meritevoli di un proiettile nelle gambe o nello stomaco. E' così, vero?
Nessun appello, nel tribunale popolare. [...]"
Si costruisce così un discorso complicato, radicalizzato da decenni di conflitti e vicende che hanno finito per radicalizzare quel senso corrisposto del sospetto che ha spinto categorie sociali ad essere messa l'una contro l'altra. In una crisi che non è solo economico-finanziaria, purtroppo.
E' sullo sfondo di questa opera, dal titolo già indicativo della fine, che si muovono le storie di un uomo-magistrato alla ricerca di una discussione radicale con i punti di riferimento di un Paese impegnato più di tutto a ritrovarsi, a ricostruirsi.
E' veramente possibile adoperarsi, come Colnaghi, per rendere merito e giustizia al proprio Paese?
E' davvero possibile trovare merito e felicità in questo tanto duro quanto sottovalutato lavoro?
In queste (così come in moltissime altre) domande risiede la necessità di adoperarsi per "rendere migliore lo Stato" odiato da tanti, troppi.
Svolgere un'opera sconosciuta ai più, al fine di innescare una ricostruzione che non lasci segni visibili nell'immediato.
Nonostante questo, però, un'opera come questa potrebbe bastare a rendere più serena l'anima di chi ha avuto intimamente a che fare con la giustizia.
Condizionale d'obbligo, in quanto troppo grande potrebbe essere il prezzo da pagare.
E anche da far pagare, a coloro che vivono attorno e possono contribuire alla realizzazione di una felicità contagiosa.
Dietro tutto questo, davanti ad un senso di disperazione ed incuria (pur)troppo collettivo, cerca di muoversi il lavoro dell'uomo Giacomo Colnaghi.
Senza mai scordare, sullo sfondo ma in un parallelo narrativo convincente, il contributo fornito da un padre mai conosciuto.
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