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erano unpo’ rumeni e un po’ indiani, tutti bassi, tutti bianchi di calcina e tutti con le gambe corte e un po’ storte e la pancia in fuori.
e mi hanno ricordato mio nonno.
che anche lui faceva il muratore e era forte come un toro e io ero fiera e felice di avere un nonno così.
chiacchieravano, sul 17, di ritorno forse da un cantiere, la barba di qualche giorno, le mani tozze e le unghie sudicie.
odore di lavoro, di lavoro duro.
ho guardato il signore rumeno, perchè era di fronte a me e si poteva studiare bene.
non era giovane, tutt’altro, era anzi decisamente in sù con l’età, pareva il più esperto di tutti, parlava e parlava e tutti stavano a sentirlo in silenzio.
ridacchiava e smanaccava, proprio come lui, proprio come il wonder nonno che ancora mi manca.
e come lui era allegro e contento, all’uscita del cantiere e affrontava la vita con ironia, forza e anche un po’ di disincanto, che non è cinismo, è solo l’averne viste tante.
quando la casa a farneta doveva essere finita era il wonder nonno che con la paiolina, murava mattoni su mattoni.
io mi sporgevo, col mifratello, che era piccolissimo e stava appena imparando a parlare e gli dicevo: “guarda nonno!”
il giorno che la befana gli portò un martello, una sega, una pinza e altri attrezzi di plastica si ricordò della lezione di italiano e chiamò ognuno di loro “nonno”.
prendeva il martello e diceva “nonno!”
poi chiedeva la sega indicando col ditino e urlando: “nonnooo!”
ogni attrezzo si chiamava nonno, per la logica ferrea dell’infanzia.
il mio signore rumeno del diciassette secondo me ha anche lui un nipotino. che forse vive qui e lo chiama nonno oppure vive in romania e lo chiama “bunic”.
(si ringrazia google translator! ;) )