Siamo soliti cercare nei libri tutti i sogni che non riusciremo mai a raggiungere, estrapolare il meglio dell’umanità, elogiandola e idolatrandola. A noi sognatori distratti piace cercare tra le righe delle opere letterarie un lieto fine, uno spiraglio di luce, qualcosa che ci lasci credere di significare qualcosa e di poter essere qualcuno. In parole povere, ciò che cerchiamo ha solitamente a che fare con le bugie.
Musica per organi caldi, di Charles Bukowski (1983) è niente poco di meno che una polveriera carica di esplosivo, dalla quale fuoriesce tutto il vomito dell’esistenza umana e in cui anche il sogno americano viene rovesciato e fatto a pezzi, fino a diventare un labirinto dell’orrore: una strada senza inizio né fine, senza segnaletica stradale, un viale ignoto e privo d’illuminazione in cui è semplice perdersi.
Trentasei racconti da addentare uno per uno, masticare senza star troppo lì a pensare al gusto che hanno e poi voltare pagina. Descrizioni lapidarie e scolpite, particolari che sanno far male, sono in grado di provocare goduria, schifo, confusione, paura, persino di strappare qualche sorriso. L’autore ci piomba addosso con veemenza e non ci lascia il tempo di prendere fiato che siamo già adagiati sui divani polverosi delle malconce abitazioni in cui vivono perfetti sconosciuti, ad odorare i loro panni sporchi, a consumare il loro whisky e vederli mentre rimorchiano le loro donne. Scrittori disperati come Henry Chinaski (alter ego dell’autore), la cui unica preoccupazione è quella di avere quattro mura tra le quali dimorare e una bottiglia di liquido altamente alcolico tra le mani; uomini perdigiorno, senza alcuna ambizione, sforniti della pretesa di essere qualcuno, privi di affetto o rimpianto, scommettitori accaniti e soprattutto donnaioli. Amanti di donne che quasi mai si rendono conto con chi hanno a che fare, appaiono spesso fasciate in abiti accattivanti, capaci di reggere l’alcool o altrimenti consapevoli di star per andare in contro a una sbornia; donne maltrattate e sottomesse, da scambiarsi tra amici come se si trattasse di un paio di scarpe; volgari, sensuali e senza dubbio ottime seduttrici dagli occhi grandi e dolci, dai corpi snelli e appetibili o viceversa grasse, vecchie e sciatte, ma non per questo da scartare. Donne matte come cavalli, in cerca di rapporti sessuali soddisfacenti e prive del benché minimo pudore; scaltre e fameliche, in grado di azioni perverse e orrifiche.
Bukowski compone una sfilza di racconti che si concatenano tra loro e nei quali altro non fa che elogiare e criticare la sua categoria, quella degli scrittori, che definisce dei perfetti idioti per i quali la scrittura rappresenta l’unica soluzione per impegnarsi in qualcosa. Eppure questa categoria senza pretese, senza un soldo in tasca, impreparata sulla letteratura contemporanea, poco incline ai rapporti sociali, sa bene che il mondo non gira mai dalla loro parte e che solo da giovani, forse, si può avere l’illusione di avere in pugno tutto quanto. I personaggi bukowskiani non si aspettano nulla da nessuno, vivono rapporti monotoni, in cui l’amore è una lama sottilissima e oltrepassarla significa quasi morire. La routine diventa un paradiso accettabile e rassicurante in cui il sentimento amoroso altro non è che una convenzione sociale, una gabbia di pregiudizio in cui si convincono che tutto vada per il meglio semplicemente perché li fa stare bene o perché è quello di cui hanno bisogno.
L’autore ci abbraccia con tutto il suo splendido fascino da poeta maledettamente cinico e non ci risparmia i particolari, stipati in sudate righe appiccicate e ammassate come esseri umani su una metropolitana alle otto del mattino. Non mancano le carrellate di nomi di autori noti, accompagnati da considerazioni più o meno positive. E alla fine di ogni racconto, solitamente, non si può far altro che rimanere con le mani in mano e gettarsi nel rumore del mondo esterno, concedendo alla vita di essere dolce.
Charles Bukowski
Un libro in cui le parole prendono fiato semplicemente e proprio per tale ragione bruciano vive in tutta la loro genialità (Come scrive lo stesso Bukowski: “La genialità sta nell’abilità di esprimere concetti profondi in modo semplice”). Ogni pezzo di carta ci butta a terra in quanto appartenenti al genere umano (“L’uomo è la fogna dell’universo”) e al contempo ci fa sentire persone migliori per il semplice fatto di non essere protagonisti di questa opera. Dopotutto noi restiamo impelagati con le nostre ambizioni, immobili sui bus che vanno lenti la mattina o i prati verdi e delimitati da cancelletti neri e leggiamo questo autore che il tempo riporta continuamente a galla, consapevoli del fatto che “Sono i tipi eccezionali che fanno girare il mondo. Loro fanno i miracoli, mentre noi ce ne stiamo con il culo ammollo”. Che dire? Un’opera dissacrante alla fine della quale vi sentirete massacrati come dopo una sbornia, con l’acqua alla gola, sommersi da tutti i loro guai; al contrario dei protagonisti di Hot water music (Musica per organi caldi, appunto) però, non schizzerete fuori dalla vasca da bagno colma d’acqua bollente, ma rimarrete con gli occhi incollati al foglio e vi sorbirete tutte le loro peripezie!