Ad inizio anno ho completato il trasferimento dei miei CD nella libreria di iTunes. Un lavoraccio. Io sono un cane, musicalmente parlando: la differenza tra la qualità della traccia del CD e quella dell’mp3 non la percepisco. Riesco a sentire Glenn Gould che canticchia, mentre suona le Variazioni Goldberg, e quando ascolto gli stessi pezzi eseguiti dalla Hewitt o dalla Tureck mi sembra che manchi qualcosa. Non vado molto oltre. Non sono, per esempio, in grado di seguire singolarmente le parti degli strumenti, in un concerto, per poi ricomporli in un unicum omogeneo.
Percepisco solo l’effetto complessivo: prendo dalla musica poco, ricevo molto e mi accontento. E così, senza ripensamenti, la maggior parte dei miei CD è stata venduta o regalata, una volta che le tracce importate sono state messe al sicuro in tre backup differenti. Ne ho tenuti una quarantina, per la maggior parte di musica classica, insieme a pochi altri che mi rammentano cosa e dove sono stata.
Tra le incisioni che conservo ce n’è una da cui non voglio ancora separarmi. Ero in un centro commerciale con mio padre, una decina di anni fa; c’era una cesta, in un angolino, con il cartello “offerta” semi-nascosto tra le copertine di plastica, i prezzi ancora in lire. Ci infilai le mani, curiosa. Mio padre mi indicò tre cd e mi disse: “Se proprio devi spendere soldi, compra quelli”. Due erano registrazioni di Kempff alle prese con Chopin, uno era The Last Recital, del pianista Backhaus. E’ l’ultimo concerto che il pianista, ottantacinquenne, tenne, a Ossiach, nel giugno del 1969.
La musica riempie l’auto sulla via del ritorno a casa. Si mangia qualche nota, si prende libertà di esecuzione che solo un artista famoso e di indubbio talento può permettersi, e solo a fine carriera, lascia che la passione sostituisca la perfezione, tra gli applausi del pubblico. Sta suonando Beethoven, il terzo movimento della Sonata 18 op 31: le note cessano di colpo, non sta bene. Esce di scena. Rientra: il presentatore informa che la successiva prevista sonata, sempre Beethoven, non sarà eseguita: il maestro regala però ancora due Fantasie di Schumann e il bis di un Impromptu di Schubert. Gli applausi durano minuti. Backahus muore pochi giorni dopo.
Talento precoce, tra i maggiori pianisti del secolo scorso, un numero impressionante di concerti e premi. A 85 anni ha ancora note da regalare, per quello che può. Quando ascolto il CD, oltre la traccia numero 9 di solito non riesco ad andare. Non sono particolarmente sentimentale però mi è difficile sopportare il discorso interrotto della numero 10. E riascoltare lo sforzo immane che gli devono essere costati gli ultimi tre brani.
L’altro giorno, quando ho letto che Amy Winehouse è morta, io, non so perché, ho pensato subito a questo mio cd. Ho immaginato un uomo anziano, in abito nero, solo davanti al suo piano. Con lui anni di studio e rigore, nonostante il talento. Da lui attimi di bellezza e una lezione di dignità. Poi ho pensato ad Amy su un palco affollato, in vestiti e pettinature improbabili, ubriaca così tanto da non poter cantare, tra luci sfavillanti, musica ad alto volume, una voce bella che si è persa per strada e che non è bastata a fornire un appiglio. Ho pensato che 27 anni sono troppo pochi per morire in questo modo, anche se alla morte ci è corsa incontro al galoppo. Ho pensato che c’è qualcosa di malato nel mondo effimero e sciocco della musica moderna. Ho pensato che stiamo perdendo completamente il senso delle proporzioni e stiamo chiamando “capolavoro” e “artista” cose che forse non lo sarebbero per niente, se togliessimo loro le luci, le urla e i colori. Ho pensato che quando una ragazza possiede in sé la musica ma non la sa usare per portare parole di conforto a se stessa ci sia qualcosa che è andato miseramente sprecato. Ho pensato che era triste, uno spreco così.
E mi sono riascoltata la traccia numero 10, anche oltre il silenzio.