Il sogno di diventare cantante e uno colpo di pistola alla testa: la storia di Mutlu Kaya
La ragazza, il talent, lo sparo
Nonostante il suo nome significhi “felice”, Mutlu Kaya, giovane concorrente del talent show turco Sesi Cok Guzel, è stata protagonista di una vicenda tutt’altro che gioiosa.
La ragazza, una diciannovenne con il sogno di diventare una cantante, è stata colpita alla testa con un colpo d’arma da fuoco la sera dello scorso 18 maggio, mentre si trovava nella sua abitazione di Diyarbakir, nel sud-est della Turchia.
Le condizioni della concorrente appaiono critiche ma stabili, i dottori dell’ospedale dove è ricoverata stanno facendo il possibile per salvarle la vita, mentre sui Social arrivano messaggi di solidarietà da tutto il mondo.
Secondo fonti locali, al momento i sospettati fermati dalla polizia sarebbero quattro, ma il maggiore indiziato è l’ex fidanzato di Mutlu, che però continua a dichiararsi innocente.
Nei giorni immediatamente precedenti l’attacco, la giovane avrebbe ricevuto diverse minacce anonime che contestavano la sua partecipazione al programma, portandola a dichiarare pubblicamente di essere spaventata.
Non si conoscono ancora le motivazioni del folle gesto, ma il caso di Mutlu è solamente uno dei numerosi episodi di violenza verso le donne di cui la Turchia è stata protagonista negli ultimi anni.
La regione dove la ragazza abita con la sua famiglia, è a maggioranza curda, ed è conosciuta come una delle zone maggiormente conservatrici del paese dove, nonostante le crescenti proteste a difesa dei diritti delle donne, la popolazione femminile vive in condizioni difficili e il tasso di femminicidi è ancora elevatissimo.
Il clima di tensione si fa sentire ora per la seconda volta, dopo che già lo scorso febbraio l’omicidio della studentessa ventenne Ozgecan Aslan aveva scatenato rumorose proteste in tutto il paese.
Su Twitter ha fatto notizia la campagna #ozgecanicinminietekgiy, ovvero “indossa una minigonna per Özgecan”, dove anche numerosi uomini si sono fotografati indossando una minigonna, per contrastare l’opinione di chi vede nell’abbigliamento delle donne la causa di uno stupro.
Aslan è stata uccisa e bruciata da due uomini, in seguito identificati e arrestati, che avevano cercato di stuprarla mentre rincasava dall’università.
Uno degli assalitori era l’autista dell’autobus sul quale la ragazza era salita per tornare a casa. Aslan sarebbe rimasta sola a bordo, in quanto tutti gli altri passeggeri erano già scesi alle fermate precedenti, quando gli aggressori hanno deviato il percorso verso un luogo isolato dove si è consumata la tragedia.
Una lotta solo apparente
Nei giorni seguenti si sono susseguite grandi manifestazioni nelle principali città turche, da Ankara a Istanbul, che hanno visto scendere in piazza migliaia di donne in protesta non solo contro la violenza sulle donne, ma contro la generale pessima condizione femminile nel paese, spesso attribuita al governo di Erdogan.
Secondo un rapporto della Human Rights Watch del 2011, il 42% delle donne turche sopra i 15 anni ha subito atti di violenza nella propria vita, mentre il fenomeno delle “spose bambine” resta largamente diffuso in tutto il paese, soprattutto nelle zone rurali.
In realtà, le leggi turche condannano apertamente e senza mezzi termini qualsiasi episodio di violenza, ma il senso comune dominante nel paese è ancora altamente discriminatorio nei confronti della popolazione femminile, motivo per cui spesso molti episodi di maltrattamenti vengono sminuiti dalle autorità, mentre molti restano addirittura impuniti.
Negli ultimi anni è stato eliminato il cosiddetto “delitto d’onore” e nel 2007 è passata una legge allo scopo di offrire protezione alle donne vittime di abusi o violenze, ma ne sono state escluse le divorziate e le single.
I numeri e le testimonianze delle vittime (senza contare tutte quelle che non sporgono denuncia) fanno emergere un ritratto raccapricciante riguardo alle contraddizioni di una nazione che, nonostante sulla carta cerchi di fare passi avanti, nella realtà sprofonda nell’arretratezza ideologica più totale.
Dopo l’omicidio di Aslan, su Twitter è stata lanciata la campagna #sendeanlat, che invita le donne turche a raccontare la propria esperienza.
Qui, come su hrw.org, si leggono storie di totale omertà, di donne ignorate dalle forze dell’ordine, derise, o ritenute colpevoli delle violenze subite.
Intanto, a poche settimane dalle elezioni, nei programmi del partito conservatore AKP sono ancora presenti numerosi incentivi economici per la famiglie numerose, che incoraggiano ad avere almeno tre figli, sottolineando il ruolo della donna come moglie e madre.
In passato alcune dichiarazioni di Erdogan che invitavano le ragazze a sposarsi presto e a dedicarsi alla famiglia piuttosto che alla carriera, hanno scatenato una serie di polemiche fra le associazioni femministe.
Il vice-primo ministro, Bülent Arinç, durante un discorso aveva affermato che la castità è la qualità più importante per le donne, e che queste non dovrebbero mai ridere in pubblico.
La reazione del web anche in quel caso è stata immediata: via Twitter sono state lanciate le campagne #direnkahkaha (resistereridere) e #direnkadin (resisteredonna), dove numerose ragazze hanno postato foto mentre ridevano felici.
L’attuale primo ministro Davutoglu lo scorso agosto ha preso il posto di Erdogan, il quale è ora Presidente della Repubblica, ma non sembra aver imboccato particolari cambiamenti di rotta riguardo alla delicata situazione della discriminazione femminile.
In questo clima di tensione e malessere sociale, ma anche di nuove consapevolezze e prese di posizione, la Turchia si avvia verso le prossime elezioni del 7-11 giugno, con la speranza che eventuali cambiamenti possano finalmente portare le donne turche a una condizione di vita serena e libera da paure.
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