Nativi digitali
I veri nativi digitali sarebbero i nati degli anni ’80, ragazzi e ragazze accuditi dalla vorace fame di PacMan o dai saltelli colorati dell’idraulico più famoso (alias Super Mario). In realtà in quegli anni pieni di manette, leve e bottoni enormi era un mondo ancora molto analogico, dove il digitale veniva visto solo in pixel enormi meglio detti quadrettoni. I nativi odierni sono realmente digitalized fin dalla nascita, con telefonini, pc e schermo lcd da 37 pollici: entriamo in questo mondo che coinvolge le nostre vite, buona lettura a tutti!
Il divario che queste nuove generazioni hanno rispetto ai loro genitori è ridotto rispetto a quello dei nati dall’86 in poi, in quanto i genitori nati nel dopo guerra vengono dalla macchina da scrivere e hanno una vaga idea di cartelle, internet e del mondo elettronico in generale. I genitori cosiddetti moderni hanno l’iPhone, il computer per lavoro e per svago, un profilo su Facebook e acquistano i giochi per il pargolo su eBay, magari sfruttando l’ultima asta in scadenza alle 11 di sera.
I nativi digitali quindi si ritrovano una casa iper tecnologica, dove la tesina si fa guardando Wikipedia e usando il correttore ortografico di Word, avendo la tastiera come primo strumento di scrittura e una velocità d’apprendimento dei tasti da far invidia ad una consumata professionista.
Il rischio, anche se viene minimizzato dalle grandi potenzialità della Rete e del patrimonio messo a disposizione nel giro di pochi click, è quello imperante di affidare la conoscenza a terzi e di perdere la propria creatività affidandosi a schemi preimpostati di pensiero; così facendo si rischia di appiattire le idee e di rendere il computer un’estensione naturale del proprio essere un po’ troppo invadente.
Il nativo digitale, dal canto suo, ha la meravigliosa possibilità di esser duttile e di passare da un sistema operativo all’altro (Windows, Mac, iPhone OS e Windows Mobile, considerando anche il nativo Maemo Linux utilizzato sul Nokia N900) sapendo muoversi attraverso le varie interfacce e riducendo il ricorso al manuale d’istruzioni.
Condividere i propri ricordi e il proprio lavoro su Internet è la prassi, mandare e-mail e/o cartoline digitali diventa il nuovo pass-partout e viatico universale per raccontare una vacanza o un’avventura: questi sono proprio bimbi nati con il cellulare nella culla.
Come ribadito prima nativo digitale non è sinonimo di conoscenza superiore, semplicemente di maggior scioltezza nell’utilizzare le nuove tecnologie: il saper scrivere una lettera d’amore o commerciale, il saper risolvere un problema d’ufficio e/o informatico, la capacità di gestire lo stress e le varie richieste della vita quotidiana richiede comunque un’esperienza che nessun dispositivo digitale può sopperire.
La riduzione della fatica infatti lascia spazio ad uno schermo bianco difficile da riempire, in quanto manca una chiarezza mentale/concettuale o il contenuto da inserire: seguendo il pensiero di Oliviero Toscani una velocità che ci rende tutti più idioti.
Un ottimo sforzo per la nostra creatività può essere quella di staccare la spina e tirare fuori foglio e matita, operazione ormai desueta: la maggior parte dei nativi tecnologici rimane a bocca aperta, spiazzata, e non sa più come procedere (hanno la tabula rasa creativa).
Dobbiamo quindi temere l’invasione di questa nuova subpopolazione cresciuta a Xbox e Wii? Secondo il mio modesto parere credo di no: una maggior dimestichezza materiale se non è accompagnata da un’apertura mentale di base si riduce ad azioni meccaniche che però, sul piano dei contenuti, rimane abbastanza piatto.
La creatività rimane sempre l’arma vincente e preminente, non lasciamo che le prestazioni strabilianti di un microprocessore ci permettano di metterla in standby: il vero oro nero è nei nostri neuroni e non nei microchip della nostra scheda madre.
Riflettete gente: ormai anche avere il tempo per pensare sta diventando un lusso. Combattiamo la tecnologia con amore, passione e sana inventiva, è la migliore cura per noi e per il nostro lavoro.
Marco