nani felici
12:14 quando vidi l’orologio al mio risveglio: mancava solo un giorno e mezzo al mio novello incontro! Mi emozionavo anche nell’attesa, io: Angela era la mia mezza mela. Dopo l’abbondante colazione, mi dedicai a sistemar casa: tra ufficio, palestra e Amina, l’unico momento per mettere ordine lo potevo rintracciare esclusivamente nel fine settimana. 21:06 quando terminai il rito dedicato alla personale abluzione. Alle 22:00 avevo appuntamento al discopub con gli altri: con qualche drink in circolo ballare diviene più semplice.2:23 quando adagiai la stanca testa sul mio solitario cuscino: ancora meno di 26 ore e l’avrei idealmente riabbracciata, stretta a me.E fu sera e fu mattina… Pioveva, fuori.11:07 quando i miei occhi si aprirono nuovamente in cerca di luce, nella buia stanza. Mi stiracchiai lentamente; respirai profondamente; riposizionai la mente fuori dal mondo di Morfeo. Dovevo mettere nella pancia del forno un dolce da portare a Martina, oltre alla prodromica colazione nella mia di pancia. Fuori pioveva a catinelle.14:03 quando rassettai la cucina e mi misi a stirare i panni lavati e stesi il giorno prima: una vita da massaio, in pratica. Ecco perché mi rifugiavo in Matrix ed ecco perché ricercavo una realtà parallela: neanche io, alla fine, ero poi così libero!
15:54 quando mi riempii la vasca di acqua bollente, in solitaria, al di fuori di ogni connessione bittica: solo io ed il relax più assoluto. Pensavo a cosa la vita stesse facendo per me; riflettevo su quanto io stessi facendo per lei; ma riflettendo sui pensieri, poco si fa! I pensieri non son altro che scatole che limitano l’infinito. Fuori pioveva.16:48 quando fui al cospetto dello specchio a rimirarmi asciutto, vestito e pettinato: una volta inscatolata la crostata di cioccolato fondente e pere ero pronto ad affrontare la temeraria traversata del pianerottolo, ennesimo intermezzo temporale volto a portarmi verso l’infinito, tra le braccia di Amina, di lì a 11 ore.Pioveva, fuori. Pioveva con un vento fortissimoPlin plon! Ed ecco aprirsi innanzi a me la porta sull’ennesimo mondo che mi accingevo a visitare prima di poter finalmente trovar riparo nel mio. Sorridente, semplice, bella: ecco apparire Martina. ‘Sei puntualissimo!’, esordì ironica. Anche la fama arrivava sempre prima di me… ‘Ho calcolato bene il traffico, ‘sta volta!’. Sorrise. Discretamente.La guardavo mentre chiudeva la porta: gesti lenti, quasi ieratici; andamento regale, mentre m’invitava ad accomodarmi nell’accogliente salone all’americana arredato nell’inconfondibile stile Ikea. ‘Che the preferisci?’, mi chiese con un tono che mi giunse suadente. ‘Nero. Forte’ risposi con tono da uomo che non deve chiedere mai. ‘Senza zucchero né limone. E qui nel tono ricalco fedelmente quello che pronunciava ‘’Agitato, non mescolato!’’, aggiunsi, fiero. ‘Ma sei un grandissimo pagliaccio!’, replicò mentre rideva di cuore.Parlammo piacevolmente, naturalmente. Ridemmo molto. Eppure non eravamo mai stati tanto intimi: avevamo avuto modo di approfondire la conoscenza solo nel corso delle assemblee condominiali. Certo: risultavo assai piacevole anche in quei contesti abitualmente litigiosi e privi di qualunque simpatia. Un po’ pochino comunque, no!?Fuori non pioveva più. Era riapparso il sole, che di lì a breve si sarebbe coricato. L’ora ancora illegale mi spinse a poeticamente sognare: ‘Voglio aprire la finestra, guardar fuori e vedere che la pioggia è finita. Le piante piene di gemme… Il verde delle foglie più brillante... L’aria frizzante dopo il temporale… Una nuova finestra sulla primavera. Una primavera fuori stagione, però: fuori fa freddo e ti devi coprire. Coprire solo il corpo. Dentro no: dentro voglio sentire il tepore di quella nuova apparizione di primavera...’’. E lei mi ascoltava estasiata. La vita era lì, semplice, dove era sempre stata; nascosta ai miei occhi solo perché volontariamente bendati: siamo noi, in fondo, che ci sforziamo costantemente di non essere felici. Siamo noi che evitiamo di cogliere il bello che il destino ci offre nel quotidiano: pensiamo in modo presuntuoso di saperne sempre una più dell’universo! É strano: passi la vita ad inseguire un sogno in capo al mondo e poi ti accorgi che la tua isola felice era a un passo da te, che bastava allungare una mano per sentire l'onda che sfiora la riva e il tuo cuore che dice: siamo arrivati! Uscimmo sul piccolo balcone che dava su di una strada privata. Qualcuno aveva già acceso le luci dentro casa. Alto il silenzio, sebbene fossimo in piena città. Il momento era magico: restammo senza respiro per qualche attimo. Eravamo vicini. Molto vicini. Il giro in senso opposto delle teste portò gli occhi ad incontrarsi. Nella pace del contesto, si sentivano distintamente i battiti cardiaci. Un suo provvidenziale starnuto mi riportò coi piedi per terra: Amina mi stava quasi aspettando! Lo so: meglio vivere d’istanti e d’istinti che distanti e distinti. Ma l’apostrofo roseo, io, l’avevo già donato…19:52 quando mi misi alla porta. Tre ore passate in un baleno. Un po’ confuso da quei minuti condivisi con Martina. Ma io sapevo quello che volevo: una sola giornata lavorativa mi separava ormai da Angela!‘Ciao, Martina. Grazie per il bel pomeriggio.’‘Grazie a te, Stefano. Finalmente mi hai concesso un po’ del tuo tempo. Hai visto?! Non ti ho manco mangiato!’ e si riaprì in quel suo caratteristico meraviglioso sorriso aperto all’universo. ‘Sai cos’è il catfish?’, aggiunse sulla porta. Gattopesce?! Un gioco di parole? Una pietanza? E mentre sciorinavo ad alta voce le mie supposizioni, lei bisbigliò chiudendo la porta ‘Penso che la nostra relazione sia arrivata al punto in cui tu debba sapere della mia esistenza. Ti aspetto alle 4:00, Stefano. Forse…’. Sbam.
FINE.
O no?