Il presidente della repubblica non dispone l’annullamento dell’assurda parata del 2 giugno che tuttavia sarà ridimensionata in ossequio alle vittime dell’inarrestabile sisma che sta devastando l’Emilia
La casta non si tocca: ha bisogno dei suoi feticci blu, delle sue prerogative intangibili, dei suoi riti. Questo deve aver pensato Re Giorgio quando si è trovato davanti alla possibilità di dover annullare, sotto la pressione dell’opinione pubblica e di alcuni esponenti politici (Vendola e Di Pietro su tutti, ma anche Alemanno e Storace) la parata militare dei Fori Imperiali, che andrà in scena sabato prossimo.
Non vuole rinunciare allo show della sua grandezza, Napolitano: vuole per forza vederseli passare sotto al palco pieno di gente che si innalza rispetto alla massa, compresa quella che magari non potrà assistere alla vergognosa manfrina, non per protesta ma perché non ha più un salotto con un divano su cui sedere, o perché dovrebbe estrarre la tv da sotto le macerie.
Ma per il presidente, le parate militari sono un irrinunciabile momento di festa: Napolitano è un appassionato di sfilate in alta uniforme. Pensate che gli piacque anche quella dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956, quando l’URSS si accingeva a portare la democrazia in Ungheria, proprio come gli Usa la portano in Afghanistan, Iraq e prossimamente in Siria.
L’appello alla sobrietà e alle vittime del sisma che ha messo in ginocchio l’Emilia (e di riflesso l’economia italiana) non basta a placare le polemiche di chi avrebbe preferito che tutte le risorse dedicate al teatrino dei soldatini, fossero destinate alla ricostruzione.
Napolitano non ci sta, non vuole dare segni di debolezza del regime, nemmeno dinnanzi alla tragedia. La parata militare è un presupposto irrinunciabile per una dittatura di fatto, organizzata dai poteri finanziari col beneplacito dell’unico presidente della repubblica in grado di far rimpiangere Scalfaro e Cossiga. E’ una profonda mancanza di rispetto a chi si trova a dover fronteggiare un nemico che genera terrore e che può colpire in qualsiasi momento, in modo devastante.
E’ facile immaginare l’animo delle popolazioni sconfortate dai continui scossoni che scuotono l’Emilia, è comprensibile che queste si sentano sole, nonostante i proclami dei soliti noti. Servirebbero meno parole e più fatti per iniziare a fronteggiare un’emergenza con cui in Giappone convivono da secoli.
Ma tanto cosa importa? Il regime deve mostrare i muscoli ad un popolo già al tappeto. Così, in nome di questa vera ed ennesima emergenza, sarà più facile imporre accise e iva al 23%, ormai irrinunciabile come ci aspettavamo.
E’ più importante veder sfilare lo spreco in alta uniforme o mettere in sicurezza quei pochi stabilimenti che ancora possono provare ad essere un’opportunità per la ripresa dell’economia in Emilia?
Ma cosa crediate che possa interessare a chi vive al centro di Roma e chiama il suo stipendio (di 240.000 euro) appannaggio?
Viva il 2 giugno, viva la repubblica delle ipocrisie. Tanto lo sappiamo già: Monti aumenterà la benzina di altri 10 centesimi e destinerà l’ennesima accisa alla ricostruzione. Lo ha imparato alla Bocconi, e adesso dobbiamo lasciarglielo fare.