Pubblicato da Federico Di Gioia il 15 marzo 2012 · Lascia un commento
Christian Giorgio su narcoleaks.globalist.it
Dal 2009 al 2011 i cartelli messicani hanno pagato il 5% dei loro proventi alla DEA, senza saperlo.
Fino al 2011, due tra i più importanti e sanguinari cartelli sudamericani della droga hanno versato il 5% dei loro profitti illeciti nelle casse della Drug Enforcement Agency (DEA). Lo riporta il quotidiano messicano Reforma che descrive come, senza saperlo, gli uomini del Chapo Guzmàn e quelli della Familia Michoacana siano entrati in affari con un agente infiltrato appartenente all’agenzia federale antidroga Usa.I suoi colleghi governativi lo conoscevano con il nome in codice “The 050“, gli altri invece, i trafficanti messicani lo chiamavano Señor Cazares, Jose Luis Cazares. In poco meno di due anni di operazione sotto copertura, l’agente americano è riuscito ad infiltrarsi all’interno delle organizzazioni criminali messicane riuscendo a conquistarsi la loro fiducia. Si presentava come un perfetto uomo d’affari, offriva discrezione, serietà e la grande capacità di rendere puliti i soldi sporchi dei traffici illeciti.
I narcos sono stati attratti anche dalle convenienti tariffe che Cazares offriva per far transitare carichi di droga negli Usa: 4 mila 500 dollari per ogni chilo di droga su carichi fino a due tonnellate, 3 mila 500 dollari per chilo per traffici da tre o più tonnellate. Grazie a questo strettissimo rapporto d’affari che si era creato, la DEA è stata in grado di monitorare, fino nei minimi particolari, tutti i dettagli dei trasferimenti di denaro attraverso un conto bancario presso la Bank of America di San Diego che l’agente infiltrato aveva preventivamente aperto. Per la sua quasi totalità, il denaro veniva inviato in un conto della Deutsche Bank di New York a nome di una società anonima di capitale variabile, la “Vanguardia Casa de Bolsa”, che aveva come beneficiaria la società “Merin Comercializadora”.
Paradossalmente, l’operazione investigativa è stata un vero affare per i narcotrafficanti che, in poco meno di un anno, su un giro di affari di tredici milioni di dollari (4.921.199 U$A più 8.399.025 $ canadesi), hanno pagato un conveniente 5% (663 mila dollari Usa) all’intermediario infiltrato per i servizi di trasferimento e riciclaggio del denaro sporco. Poco male per la DEA che questa volta più di altre ha fatto proprio il motto “l’informazione è ricchezza”. Attraverso l’indagine sotto copertura dell’agente “050″, tra il 2009 e il 2011 l’Agenzia antidroga statunitense è infatti riuscita a scoprire una serie di reti criminali vicine al Cartello dei Sinaloa in Canada, Colombia, Stati Uniti e Messico, a sequestrare 4 tonnellate di cocaina in Ecuador e a catturare Victor Manuel Félix Félix, consuocero dell’imprendibile uomo da un miliardo di dollari Joaquìn “el Chapo” Guzmàn.
Come ha riportato Ginger Thompson sul New York Times, nel 2010, tra contanti e beni legati al narcotraffico, la Dea ha sequestrato circa un miliardo di dollari. Le autorità messicane hanno recuperato invece poco meno di ventisei milioni di dollari. Cifre infinitesimali se confrontate alla montagna di profitti del narcotraffico tra i due paesi che oscilla tra i 18 e i 39 miliardi di dollari l’anno. C’è da chiedersi se la strategia messa in atto dall’agenzia antidroga americana sia effettivamente efficace per la lotta al narcotraffico, soprattutto se si corre il rischio di superare la linea di demarcazione che c’è tra il controllo del fenomeno e la sua agevolazione.
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