Le elezioni presidenziali di domenica in Kazakistan hanno confermato per l’ennesima volta il padre padrone Nazarbayev, saldamente alla guida del paese dal 1991.
Il voto di domenica, ritenuto dall’OSCE non sufficientemente trasparente (come tutti quelli che lo hanno preceduto nei vent’anni di storia nazionale), ha consegnato con percentuali plebiscitarie il Kazakistan nelle mani di Nursultan Nazarbayev, 74 anni, al potere dalla fondazione dello stato nel 1991 a seguito dello scioglimento dell’Unione Sovietica. Dopo più di 20 anni di dominio incontrastato il padre della nazione ha plasmato il paese a sua immagine, assicurando stabilità ma legando le sue sorti alle proprie.
Kazakistan, elezioni a senso unico dal 1991
Il popolo kazako è stato chiamato alle urne domenica 26 aprile per esprimere il proprio voto nelle elezioni presidenziali anticipate indette dal presidente in carica Nazarbayev dopo aver ottenuto il mandato del parlamento. Le ennesime “elezioni farsa”, secondo gli osservatori internazionali: le opposizioni non hanno presentato candidati e gli unici due sfidanti, Turgun Syzdykov e Abelgazi Kusainov, sono considerati alleati dell’anziano leader. Il risultato non ha smentito i pronostici: a Nazarbayev è andato il 97,7% delle preferenze, alle comparse le restanti briciole. Un risultato ancor migliore di quello delle passate elezioni, avvenute nel 2011, quando aveva ottenuto il 95%. Percentuali “bulgare”. O forse dovremmo dire “kazake”.
Gli elettori hanno messo nelle sue mani un altro mandato di 5 anni. Le elezioni, che avrebbero dovuto avvenire nel 2016, sono state anticipate di un anno. Gli analisti politici credono che questa mossa sia dovuta alle previsioni sull’aggravarsi della crisi economica nel paese, da cui l’obiettivo non dichiarato di convocare gli elettori oggi per una riconferma scontata prima che, nel volgere dell’anno, si creino le condizioni per un malcontento diffuso che l’opposizione potrebbe cavalcare mettendo in difficoltà il dittatore in “vere” elezioni.
Manifesto ritraente il Presidente Nazarbayev. Photo credit: alexjbutler / Source / CC BY
Il paese, governato per decenni con il pugno di ferro, corrotto e ostaggio di un anacronistico culto della personalità verso il padre fondatore Nursultan Nazarbayev, non è mai riuscito ad esprimere un’alternativa credibile allo status quo. Uno dei pochi tentativi è stato quello del moviento Democratic Choice of Kazakistan, movimento di opposizione supportato da ricchi oligarchi sorto nel 2001, represso e chiuso nel 2005 attraverso leggi e omicidi politici. L’Occidente, complici gli accordi petroliferi che lo legano a doppio filo con la dittatura, ha sempre chiuso un occhio sulle malefatte del regime anti-democratico. Il vicepresidente statunitense Dick Cheney ha dato prova del “doppiopesismo” di cui sono capaci i governi occidentali in un celebre discorso, pronunciato nel lontano 2006 il Lituania, in cui accusava la Russia di carenze democratiche salvo poi elogiare l’operato del Kazakistan, la cui opacità elettorale è ben maggiore.
I numeri del Kazakistan e i rapporti internazionali
Sin dalla fondazione della nazione ad opera sua, quasi un quarto di secolo fa, il presidente non ha quasi mai rischiato di perdere il controllo del suo feudo personale. Un feudo molto importante: il Kazakistan è il nono paese al mondo per estensione, conta 17 milioni di abitanti e vanta il pil pro capite più alto dell’Asia centrale (13.609$) grazie allo sfruttamento di giacimenti di gas e petrolio sul Mar Caspio che ne fa uno dei più classici rentier state (stati il cui bilancio dipende in gran parte dall’esportazione delle risorse). Il recente crollo del prezzo dell’oro nero e il rublo russo in caduta libera hanno posto un freno alla crescita economica, costantemente oscillante tra il 5-10% negli scorsi anni.
Forte di questi numeri, il paese è un pilastro della neonata Unione Economica Eurasiatica, nata da un’idea dello stesso Nazarbayev e poi fortemente voluta dall’omologo russo Vladimir Putin, con cui ha ottimi rapporti d’amicizia. I due, infatti, erano gli unici assenti al momento della firma per lo scioglimento dell’URSS nella foresta di Belaveza, si dice nel tentativo di guadagnare tempo per evitarne la dissoluzione ed aspirare a guidarla. In politica estera sono buoni i rapporti con il vicino Uzbekistan di Islam Karimov, uomo con cui condivide la parabola politica (al potere dal ’91, sempre riconfermato con la quasi totalità dei voti). Oltre che non i già citati stati Uniti, i rapporti sono buoni anche con la Cina.
Particolare menzione merita il rapporto con l’Italia, primo importatore dal (e terzo esportatore verso il) Kazakistan. Eni è da tempo un partner privilegiato della compagnia energetica statale KazMunaiGaz per lo sfruttamento degli immensi giacimenti di petrolio e gas naturale nella regione che si affaccia sul mar Caspio. I due paesi sono poi stati recentemente accostati per il caso del rimpatrio forzato di Alma Shalabayeva, moglie del principale oppositore di Nazarbayev, Mukhtar Ablyazov, avvenuto ormai due anni or sono. Una visita ufficiale del Premier italiano Matteo Renzi ad Astana lo scorso giugno ha portato alla firma di nuovi accordi economici bilaterali e ridisteso le relazioni diplomatiche.
Uno stato a misura di Nazarbayev
Con il passare del tempo Nazarbayev si è circondato di consiglieri fidati, a formare un cerchio magico che, secondo alcuni osservatori, è finito con il fare da filtro tra lui e la realtà. Prova ne sono alcune dichiarazioni rilasciate pubblicamente. Il 6 febbraio 2014, ad esempio, ha annunciato di voler cambiare il nome del paese da Kazakistan (“terra dei Kazaki”) a Kazak Eli (“nazione nei Kazaki”) perché «in Asia centrale ci sono troppi paesi il cui nome finisce in “stan”, e questo provoca confusione tra gli stranieri». Un problema di cui forse nessun kazako ha mai sentito l’impellenza, così come quello dell’assoluta priorità data, nel campo della ricerca scientifica nazionale, alla creazione di farmaci per garantire l’immortalità, o almeno un prolungamento della vita. Il dittatore, infatti, probabilmente non rassegnato all’idea di dover lasciare il potere a causa della propria morte, ha ripetutamente ordinato agli scienziati di fare progressi nel settore per scoprire una sorta di “elisir di lungavita” che gli permetta di restare al potere più a lungo.
D’altra parte, però, il popolo kazako lo venera. Consapevole di questo, il dittatore ha alimentato il culto della personalità per aumentare il controllo sulla società. Ogni religione che si rispetti ha bisogno di un tempio, e Nazarbayev non ha dovuto far altro che regalarne uno al popolo: la nuova capitale Astana sorge scintillante come un’improbabile Las Vegas nel mezzo della desolata steppa kazaka. Il progetto di una nuova capitale a sua immagine e somiglianza risale al 1995 e viene realizzato nel 1997. Dopo aver vinto qualche resistenza, il presidente da poco riconfermato ottenne il permesso di spostare la capitale dalla città di confine di Almaty al villaggio di Akmola (il cui nome significava “cimitero bianco”, chiamata Tselinograd nel periodo sovietico). In pochi anni, grazie ad ingenti investimenti e incentivi governativi per popolarla, la nuova città ha attirato 700.000 abitanti. Disegnata dall’architetto Kisho Kurokawa su dirette indicazioni di Nazarbayev e arricchita da edifici di grandi nomi dell’architettura moderna (tra cui Norman Foster), la “cattedrale nel deserto” è stata nominata Astana (“capitale” in lingua kazaka). L’attribuzione di un nome così generico ha fatto pensare che alla morte del dittatore essa verrà rinominata in suo onore. Già nel 2008 è stato presentato un disegno di legge per ribattezzarla “Nursultanya”, ma il presidente ha “magnanimamente” rifiutato. Tuttavia, camminando per le vie della metropoli sorta dal nulla, già ci si può imbattere ad ogni angolo in monumenti celebrativi del leader ed edifici a lui dedicati.
Una dipendenza pericolosa
Ma se Nazarbayev non può fare a meno del Kazakistan, è anche vero che, dopo riforme costituzionali ad personam, il Kazakistan non può più fare a meno di Nazarbayev. Il sistema politico attuale prevede un accentuato accentramento del potere nelle mani della figura del Capo di Stato, che esercita personalmente i poteri esecutivi, legislativi, giudiziari e nomina il senato, la Majilis (camera bassa che esprime pareri non vincolanti) e la Corte Costituzionale. Appare quindi chiaro come il sistema sia dipendente, per la propria stabilità, dalla figura di un presidente-dittatore carismatico in grado di reggere da solo il peso della direzione della nazione. Tuttavia ancora nessun pretendente si è affaciato sulla scena politica per raccogliere la pesante eredità del padre fondatore.
L’assenza di un progetto per la “successione” rischia di lasciare un vuoto di potere alla morte di Nazarbayev, scatenando una lotta per l’eredità i cui esiti sull’ordine pubblico e sugli affari sono tutt’altro che prevedibili.
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