La popolarità di un’opinione non è mai stata un segno della sua verità. Fra le opinioni del Novecento che hanno conquistato adesioni di massa si contano:
- l’opinione alla fine della prima guerra mondiale che le nuove tecnologie belliche si fossero rivelate così distruttive che le nazioni non avrebbero più osato combattersi;
- l’opinione in Germania negli anni Venti e Trenta che esistesse una razza ariana;
- l’opinione della maggioranza degli intellettuali del secondo dopoguerra che il comunismo fosse più efficiente del capitalismo;
- l’opinione degli americani prima dell’invasione dell’Iraq che gli iracheni li avrebbero ringraziati per avere rimosso Saddam Hussein.
Queste opinioni sballate possono derivare da una malaugurata caduta generale nello Schema 2: “Se X suona bene, X!”. Tuttavia, su ogni questione c’è sempre un numero di opinioni che possono suonare altrettanto bene: cosa decide la vittoria dell’opinione X invece che Y?
Non ho teorie, ma segnalo che numerose opinioni di successo hanno un tratto comune: permettono a molti di essere buoni ipocriti. Con “buoni ipocriti” intendo gli ipocriti che evitano un divario esagerato fra ciò che dicono e ciò che fanno.
Mi spiego. Avete due metodi per tenere le vostre opinioni in linea con le vostre azioni.
- Farvi le opinioni, poi adeguare le azioni.
- Agire, poi capire a quali opinioni vi state adeguando.
Il secondo metodo è più comodo. L’unico ostacolo è trovare opinioni presentabili che siano in armonia con azioni che, parlando in generale, potrebbero essere squallide. Tuttavia, poiché anche le azioni peggiori hanno sempre qualche effetto buono, sia pure marginale, ottenete l’opinione desiderata mettendolo in evidenza. Per esempio, se siete un capo che gode ad assegnare compiti ingrati al Fantozzi di turno, gli permettete di mostrare fedeltà all’azienda se li esegue. Potrete dire: “Secondo me, è importantissimo che un capo dia ai sottoposti l’occasione di mettersi in luce”.
Un’opinione che offre a milioni di ipocriti il destro di coprire le loro vere motivazioni avrà successo. Sposandola, gli ipocriti acquisteranno il diritto a vantarsi che fanno ciò che dicono, il che conferisce loro un’aura di dirittura morale che li aiuta a raccogliere il favore degli ingenui. Potete riconoscere questo genere di opinioni da alcuni indizi.
Il primo è che il sostenitore dell’opinione manifesti una foga che il tema apparente non merita. In Italia ci sono cittadini di pochi studi che inneggiano al federalismo, che è un metodo di ripartizione dei poteri di spesa e prelievo fiscale fra i livelli dello Stato. C’è un dibattito scientifico interessante sull’efficienza relativa del federalismo e del centralismo, ma dubito che i cittadini in questione ne siano appassionati. Chi conosce la politica italiana sa che i “Viva il federalismo!” rimpiazzano più sinceri “Via i rumeni da casa nostra!” o “Vaffanculo il governo e le tasse!”.
Il secondo indizio è che il sostenitore dia per scontato che tocchi all’avversario provare che l’opinione è falsa; se non riesce a produrre obiezioni valide, il sostenitore si dichiara vittorioso anche se non ha mai esibito prove a favore. Questo stile di ragionamento è insensato se ci interessa la verità dell’opinione, perché in questo caso ci preoccupiamo sia degli argomenti a favore sia di quelli contro, ma è sensatissimo se l’opinione poggia su motivi nascosti che non vogliamo argomentare. Secondo Bertrand Russell, questo stile di ragionamento è endemico proprio in filosofia:
"Ciascun filosofo, oltre al sistema formale che offre al mondo, ne ha un altro più semplice, di cui può non accorgersi affatto. Se invece se ne rende conto, probabilmente si rende conto anche che questo sistema non va affatto; allora lo nasconde ed esibisce qualcosa di più sofisticato, cui egli crede perché è analogo al suo sistema autentico [...]. La sofisticazione consiste nel respingere le confutazioni. Ma questo solo non darebbe mai un risultato positivo: dimostrerebbe, al massimo, che una teoria può esser vera, non che deve esserlo. Il risultato positivo, per quanto poco possa comprenderlo, è dovuto ai suoi preconcetti intellettuali".
Un terzo indizio è che il sostenitore non abbia interessi personali apparenti nella faccenda. Questo indizio è tipico delle battaglie ideologiche, che sono quasi sempre ingaggiate da avvocati dei diritti altrui. Nei tumulti politici italiani degli anni Settanta, i difensori più pugnaci degli operai erano studenti, professori, giornalisti e altra gente che non lavorava in fabbrica. Le sostenitrici più ostinate della libertà ad abortire sono sempre donne colte, benestanti, senz’altro capaci di evitare le gravidanze indesiderate. Alcune sono in menopausa. A volte queste sostenitrici si accorgono che l’estraneità personale al problema indebolisce la loro posizione, e allora si appellano al bene “delle nostre figlie”, che però vi immaginate a loro volta colte e benestanti.
E gli oppositori del diritto ad abortire? È frequente siano uomini. O preti, cui mancano persino le figlie. O eroine dei diritti dei “nascituri”: feti astratti, o feti nel ventre di altre donne.
Ancora, assistete a cortei di contestatori no-global che indossano scarpe americane fabbricate in Cina, a scioperi “a difesa della scuola” di studenti che non aprono un libro, a risse in TV sul matrimonio dei gay fra un intellettuale eterosessuale a favore e un intellettuale eterosessuale contro.
È l’intransigenza di questi portabandiera a suggerire che le loro opinioni siano ipocrite. Quando abbiamo guai personali siamo flessibili: esaminiamo tutti i lati della faccenda, accettiamo compromessi diplomatici, ci curiamo più di risolvere la grana che di rispettare i princìpi con rigore. Nessuno è ideologico con sé stesso. Ci irrigidiamo solo quando ci occupiamo di cose che non ci toccano da vicino: le donne incinte, il matrimonio dei gay, la globalizzazione del mercati. Non lo faremmo senza qualche motivo segreto, dalla paura del sesso alla vanità di dare spettacolo in TV.
Non voglio svalutare il dibattito delle idee, ciò che sarebbe stupido da parte di uno che tiene un blog. I motivi segreti non impediscono a un’opinione di essere vera (quando lo è). Di fatto molti concetti utili per l’umanità sono nati da gruppi e individui che speravano di trarne vantaggio. Il principio di tolleranza fu concepito dagli illuministi, che erano scrittori, la categoria che più poteva approfittare della libertà di parola. La democrazia fu proposta da borghesi del Settecento che prevedevano che i nobili e i preti avrebbero perso le elezioni. Il pacifismo fu una battaglia dei socialisti dell’Ottocento, che sapevano che le vene delle classi lavoratrici fornivano gran parte del sangue versato nelle guerre, e poi di Gandhi, che voleva liberare l’India dagli inglesi ma non disponeva di truppe. I grandi princìpi sono spesso la scoperta di ragioni generali mentre tentiamo di fare i nostri interessi.
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