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Erano 27 anni che non nevicava così a Roma. E anche allora la città fu presa alla sprovvista e condannata alla paralisi. Non a caso quell'evento contribui in modo determinante alla sconfitta alle successive elezioni comunali del sindaco in carica Vetere espressione del Partito Comunista. Quando fu eletto Alemanno sconfiggendo Rutelli personalmente non mi stracciai le vesti. Mi auguravo che quella sconfitta fosse un'utile lezione per la sinistra, dimostrasse che la rincorsa al centro, il candidare personaggi invisi al popolo della sinistra nella speranza di attrarre i moderati era una strategia perdente (e lo dimostrava il fatto che nella stessa tornata elettorale veniva eletto Nicola Zingaretti alla Presidenza della Provincia). E Alemanno, il genero di Pino Rauti, nonostante la croce celtica al collo e il passato di fascio duro e puro, risultava, per il faccino da bravo ragazzo e le dichiarazioni pubbliche improntate ad un minimo di buon senso e di equilibrio, meno irritante e disgustoso del mefistofelico La Russa o del Gasparri dagli occhi di bove, suoi antichi sodali di partito. Il problema per Roma, in effetti, non è stato tanto che Alemanno fosse un ex (?) fascista ma le opache relazioni e l'inerzia amministrativa, unite ad una palese inettitudine, che hanno contraddistinto il suo governo della città. E i danni e i risultati sono evidenti. L'incapacità, lui esponente di punta della destra, di ottenere dal governo di Lega e PDL i fondi di cui la città avrebbe avuto bisogno per svolgere il suo ruolo di Capitale ed impedire i continui scippi di funzioni e istituzioni da trasferire al nord, i rapporti non chiariti con quel Mobkel al centro di indagini per gravi casi di corruzione e truffa, la cooptazione dei vecchi camerati al Comune o nelle aziende partecipate, la parentopoli all'ATAC e all'AMA, le 'distrazioni' sul problema criminalità (suo antico cavallo di battaglia ai tempi della campagna elettorale) ormai divenuto una vera emergenza, l'accanimento razzista con cui ha gestito la questione delle comunità Rom, impiegando i fondi a disposizione per spostarne i membri da un campo all'altro, senza conseguire alcun miglioramento né per l'integrazione né per quanto riguarda la possibilità di convivenza con la cittadinanza. Nella puntata del 5 febbraio di Presa Diretta (Malaroma) l'ottimo Riccardo Iacona ha rappresentato al meglio le magagne dell'esperienza Alemanno.
Roma bloccata per neve ha riprodotto quanto già successo lo scorso 20 ottobre, in cui un nubifragio aveva messo in ginocchio la città e causato diverse vittime. Si è detto che i tecnici del Comune non avevano compreso l'entità dell'allerta della Protezione Civile scambiando i 35 mm di precipitazioni previste in 3,5 cm anziché 35 cm di neve, che non avrebbe senso, in tempi di penuria di risorse, per una città in cui nevica ogni 25 anni avere un servizio predisposto per questo problema (anche se poi sono in tanti ormai ad ammettere che il clima è cambiato), che anche i cittadini, peraltro male informati e male allertati, hanno le loro colpe nel non essersi predisposti all'evento meteorologico, è emerso che la Protezione Civile dopo l'epoca del Faraone Bertolaso non ha più disponibilità illimitata di fondi per i propri interventi e lo stesso Comune non versa in buone acque dal punto di vista finanziario, ancora una volta si sono rivelate le inefficienze di Trenitalia e ENEL troppo prese dagli obiettivi di business e compatibilità economica per poter assicurare la continuità, in ogni condizione, dei servizi di prima necessità da essi gestiti. Bisogna poi riconoscere che la realtà di Roma è estremamente complessa e la rendono una città fragile e vulnerabile. Tre milioni di abitanti oltre a quelli che giornalmente affluiscono dall'hinterland, capitale di due Stati (quello italiano e quello vaticano) con le relative ambasciate, sede dei palazzi della politica e dei ministeri, teatro dei grandi avvenimenti politico-sociali (con le grandi e piccole manifestazioni di protesta che scelgono Roma per avere il massimo di risonanza) e religiosi, una città con una superficie comunale tra le più grandi d'Europa e il centro storico più grande del mondo, un sottosuolo in cui sono raccolti millenni di storia che rende complicatissimo la realizzazione di linee metropolitane, uno sviluppo urbanistico che è avvenuto e avviene in base alle convenienze dei palazzinari e non alle esigenze dei cittadini. La quotidianità per i cittadini romani, anche quando non piove e nevica, è fatta di trasporti pubblici insufficienti e inadeguati per muoversi in città e da/per i centri limitrofi, cosa che determina, come inevitabile risposta, l'assoluta prevalenza dei mezzi di trasporto individuali, centinaia di migliaia di automobili per le quali, in termini di viabilità ma anche di spazi di sosta, le strade romane non sono assolutamente adeguate, e con il raccordo anulare via di comunicazione fondamentale per recarsi da una parte all'altra della città che diventa giornalmente - basta un incidente, un imprevisto, un lavoro di manutenzione – il girone infernale degli automobilisti nel quale non di rado ci si trova bloccati per ore per percorrere pochi chilometri.
Allora qui, neve o non neve, Alemanno o non Alemanno, la riflessione deve allargarsi. Deve rivolgersi al mantra, al ritornello che viene ripetuto ossessivamente, senza lasciare praticamente spazio di replica a chi vi si oppone: il libero mercato, la libera concorrenza consentono il più efficiente e proficuo impiego delle risorse, di massimizzare la creazione di ricchezza (il PIL) da distribuire secondo criteri di merito e di capacità – in base appunto alle leggi di mercato – consentendo contemporaneamente, ove necessario, di intervenire per azioni di riequilibrio e di solidarietà. Contro costoro non serve opporre la realtà di un mondo capitalistico rovesciato, folle, disumano, senza logica, fatto di sprechi, di povertà, disperazione e ineguaglianze inaccettabili, proiettato verso la distruzione della biosfera, in cui l'economia reale e la democrazia sono state uccise dal potere arrembante della finanza speculativa e dagli accordi di cartello delle grandi multinazionali. Ci si dirà che questo non è il libero mercato ma la conseguenza delle distorsioni dell'ideologia liberista che negli ultimi trent'anni ha imposto l'idea di un mercato in grado di gestirsi autonomamente, senza regole e interventi correttivi dello Stato. In attesa che qualcuno ci spieghi dove, come, quando si è realizzato il perfetto libero mercato, e tralasciando i temi della crisi finanziaria che il mondo sta affrontando, guardiamoci allora intorno, alla realtà che viviamo giorno per giorno. Ad esempio al tema della mobilità, appunto, e a quella della gestione del territorio. Nella società capitalista e fondata sul libero mercato la possibilità di soddisfare i bisogni individuali e collettivi di muoversi per andare al lavoro, a scuola, a fare la spesa, per trascorrere il proprio tempo libero, per trasportare merci, sarà determinata dall’incontro tra la domanda di cittadini e imprese e l'offerta determinata dalle scelte e dagli interessi di grandi soggetti privati: fabbricanti di mezzi di trasporto e petrolieri dentro l'architettura di città e territori (e riguardante anche la localizzazione della struttura produttiva e commerciale) più conveniente per costruttori e cementificatori. Soggetti deboli (i cittadini, le stesse imprese piccole e medie), con un'offerta pubblica che dovrebbe riequilibrare il mercato deliberatamente resa insufficiente e inefficiente, verso soggetti forti in grado di imporre le scelte di politica economica, fiscale, urbanistica, infrastrutturale. La libera scelta (per di più riguardante spesso la soddisfazione di bisogni creati e indotti artificialmente, anche attraverso i meccanismi della pubblicità) del cittadino-consumatore potrà essere solo all’interno del recinto in cui è costretto a vivere: potrà preferire questa o quella macchina (se se lo può permettere …), sperare di risparmiare qualcosa nella scelta del mutuo o dell'affitto, dell’assicurazione auto o facendo rifornimento di benzina. Ma niente di più. E la conseguenza di questo rapporto squilibrato frutto del 'libero mercato' è sotto gli occhi di tutti tanto più in assenza di una programmazione, un piano, un progetto – prodotto attraverso studi imparziali e decisioni democraticamente partecipate – in grado di riorganizzare la vita economica e sociale (la localizzazione delle attività produttive e commerciali privilegiando la filosofia dei 'chilometri zero'), di dare la prevalenza all'utilizzo di mezzi di trasporto collettivo, di promuovere l'utilizzo delle tecnologie informatiche per ridurre gli spostamenti, di ridefinire i tempi e gli orari delle attività lavorative, della scuola, del commercio per evitare quanto più possibile sovrapposizione dei flussi di traffico, di 'ridisegnare' città e territori e di individuare le priorità delle infrastrutture da realizzare al fine di ottimizzare, in termini di costi individuali e sociali, di emissione di sostanze inquinanti, di qualità della vita, le esigenze della mobilità e di consentire di riconquistare i centri abitati come luoghi di vita e di socialità. Il libero mercato esteso all'esercizio delle grandi reti infrastrutturali (elettricità, gas, acqua, strade, ferrovie, aeroporti, telefonia) inoltre farà sì che, nella logica di affrontare la concorrenza riducendo costi e tariffe per conquistare fette di mercato e remunerare adeguatamente gli azionisti, si andrà a tagliare sulla forza lavoro e sulla sicurezza, eliminando quella ridondanza di personale tecnico, di impianti e di mezzi che è condizione indispensabile per garantire la continua di servizi essenziali. Come sorprendersi allora che basti una nevicata particolarmente abbondante per lasciare centinaia di migliaia di persone senza luce per giorni interi, passeggeri prigionieri per ore sui treni e bloccare una città come Roma? Certo esistono eventi disastrosi, fatalità, disgrazie che vanno oltre le capacità di controllo ed anche di previsione dell'uomo ma l'interesse primario della società umana, per perpetuare se stessa e tutelare tutti i membri che la compongono, dovrebbe essere quello di prevenire e minimizzare i danni che derivano da tali eventi. Se si lascia prevalere la logica dell'arricchimento individuale nella costruzione degli edifici e nell'utilizzo del territorio, ogni evento naturale, eccezionale ma prevedibile in quanto ricorrente, un terremoto, un nubifragio persistente, una nevicata appunto, diventa una catastrofe che causa vittime e ingenti danni materiali. L'Aquila, Sarno, Giampilleri, Messina, le Cinque Terre, la Lunigiana, Genova, il Veneto, Roma stessa nel ricordato nubifragio dello scorso 20 ottobre, solo per citare alcuni degli ultimi o più disastrosi eventi. In tempi in cui tutta l'attenzione della politica si rivolge alle compatibilità del bilancio dello Stato e alla crescita del PIL, quanto costano – solo dal punto di vista economico – questi eventi per i soccorsi, per la ricostruzione, per la perdita di giornate di lavoro oltre che di attività produttive e dunque in funzione della tanto auspicata 'crescita'? Altro che articolo 18, non dovrebbero essere questi temi le priorità di una buona politica, di una pratica di buon Governo?
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