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No alle unioni civili (per etero e omo): ecco alcuni perché

Creato il 15 ottobre 2012 da Uccronline

No alle unioni civili (per etero e omo): ecco alcuni perchéNel marzo scorso abbiamo raccolto in una pagina alcune delle più interessanti posizioni di psicologi, giuristi e filosofi contrari alla legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Fortunatamente, seppur su quotidiani “secondari” (dal punto di vista della diffusione), proseguono settimanalmente le prese di posizioni in questo senso (scaturite dopo l’apertura del registro delle coppie di fatto nel comune di Milano, mentre a Varese è stato respinto). Ne raccogliamo altre in questo articolo, specialmente rivolte all’obiezione verso le unioni civili, richieste anche da alcune coppie eterosessuali.

Come spiega giustamente “Avvenire”, che ha dato spazio ad alcuni intellettuali, le unioni civili sono richieste da coloro che «in nome di una libertà assoluta rifiuta il matrimonio (anche solo civile), che avrebbe il torto di regolarizzare il rapporto, ma cui va stretta anche la convivenza, che non dà alcun riconoscimento pubblico. Per chi, in definitiva, non accetta le responsabilità e i doveri di un vero matrimonio (civile o religioso che sia), ma ne esige tutti i diritti, nei confronti del partner, dei figli e dell’intera società. Diverso il caso delle coppie gay, che non sono spinte dalle stesse motivazioni ma che cercano con tale attestato di chiamare “matrimonio” la loro unione e “famiglia” la loro convivenza». In merito alla situazione di privilegio delle coppie di fatto rispetto a chi sceglie di sposarsi si veda come esempio il recente caso della decisione del Tar del Veneto, secondo cui le coppie di fatto hanno il diritto di pagare rette più basse per l’asilo

Il sociologo Pietro Boffi, ricercatore del Cisf (Centro internazionale Studi famiglia) ha fatto presente che viene coinvolta «l’antropologia e l’ontologia stessa dell’essere umano», ricordando di non chiamarle «famiglie di fatto, perché quelle c’erano già: ora avremo coppie sposate (in comune o in chiesa), coppie di fatto (i conviventi) e coppie di registro, quelle che vogliono guidare l’auto ma non prendere la patente!». Essendoci «in gioco la definizione stessa di famiglia», ha proseguito, «occorre interrogarsi se la definizione di famiglia finora valida sia ormai vuota. Io sono convinto di no: maschio e femmina, un padre e una madre, sono categorie che non si buttano in un attimo, non possiamo ignorare l’intera psicologia dell’età evolutiva. Stiamo assistendo a una disarticolazione delle categorie mentali dell’umano». Anche tenendo in considerazione le coppie gay, ha ricordato che «la famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma si regge su un patto che garantisce davanti a tutta la società due cose: la stabilità e la procreazione. Da sempre la procreazione è un fatto sociale, esce da un aspetto meramente privato. Ecco perché il matrimonio è un istituto giuridico». E infine: «occorre chiedersi quanto è utile a noi come società aprire a relazioni deboli, prive di stabilità e di tutele che invece il matrimonio (civile o religioso) garantisce. Perché promuovere un basso impegno e un basso profilo che non giovano a nessuno? Chi non vuole legami, basta che usufruisca delle leggi di diritto privato che già ci sono».

E’ intervenuta anche la psicologa Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, la quale ha affermato che le operazioni avanzate da alcuni comuni, per ultimo quello milanese, «rientrano in un più ampio disegno di delegittimazione della famiglia molto chiaro, in atto in modo sotterraneo, ovvero togliendo valore a quello che c’è». Sulla scena ci sono due culture, «una cultura che vede il limite come un valore, e un’altra cultura opposta, dove ogni limite viene eliminato. Ad esempio affermare che l’unione di un uomo e una donna è uguale a quella tra persone dello stesso sesso significa pensare che tra maschio e femmina non c’è differenza, cioè che ogni individuo è totipotente e indifferenziato, che non ha limiti, perché ognuno è tutto. Non a caso il terreno di questa battaglia è proprio il sesso, la differenza più radicale nella persona, l’aspetto davvero fondante del limite: chi è maschio non è anche femmina e viceversa. Pensiamoci bene: qualsiasi donna incinta chiede subito se il figlio “è maschio o femmina”, perché così ne conoscere l’identità». Secondo la neuropsichiatra, l’adozione di un figlio da parte delle coppie gay «provocherà danni molto gravi a questi minori. Potrà vivere quel bambino con due genitori maschi (o femmine)? Dipende: se vogliamo crescerlo nell’onnipotenza sì, ma sappiamo che questo non lo farà stare bene. Il fatto è che oggi si pensa che amare un figlio significhi solo riversargli addosso dell’affettività, ma così non è. A forza di desensibilizzare le persone e di svuotare le parole del loro vero significato – famiglia, matrimonio, diritti – si diluisce ogni confine»

Ha concordato il teologo Giancarlo Grandis, docente di Teologia morale alla Facoltà del Triveneto, il quale ha ricordato che «il matrimonio ci si realizza nell’alterità vera, cioè nell’altro come diverso da me. Qualcuno sostiene la necessità di un registro per le unioni di fatto come garanzia per le coppie che non intendono vincolarsi tra loro con un matrimonio, ma che ne esigono gli stessi diritti. La questione da porre alla base di questa discussione è: i diritti si fondano sui desideri? Se la risposta è sì, tutto è diritto, anche in assenza di qualsivoglia dovere. Se però i diritti sono legati alla reale e concreta natura dell’uomo, le cose vanno in maniera molto diversa».

La giurista Anna Denovi, avvocato del Foro di Milano, presidente del Centro per la Riforma del diritto di famiglia, componente di Telefono Azzurro, del Comitato scientifico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia e docente universitaria ha spiegato da parte sua che «su temi tanto sensibili la società non si sofferma a riflettere abbastanza. Oggi in Italia il matrimonio non può che essere l’impegno assunto da un uomo e una donna davanti a Dio o allo Stato civile. Però lo stato di fatto sta anticipando il diritto ovunque in Europa, e l’Italia è un Paese che quasi da solo protegge ancora la sua anima iniziale, fa da baluardo alle tradizioni e a un’etica anche laica (il valore del matrimonio civile)». Ha poi concluso: «Due persone eterosessuali che convivono hanno già tutti i riconoscimenti: i loro figli godono degli stessi diritti degli altri, se uno dei due muore l’altro ha diritto al trasferimento del contratto d’affitto, eccetera. Direi che solo per gli omosessuali c’è un salto effettivo».

Il prof. Alberto Gambino, professore ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile presso l’Università Europea di Roma ha spiegato che in Italia non sarebbe possibile approvare il matrimonio omosessuale perché «il nostro matrimonio è fondato sulla distinzione tra i sessi. Sarebbe altresì necessario un massiccio intervento di modifica del Codice Civile, oltre che dell’articolo 29 stesso; il quale, a sua volta, si richiama alla concezione del matrimonio presente nel Codice Civile all’epoca vigente, nel ’42, ove veniva messa in risalto proprio la differenza di sesso». In ogni caso non è certo la maggioranza (degli Stati esteri o dei politici italiani) che connota l’etica: «Abbiamo avuto in passato maggioranze legittime che hanno realizzato leggi del tutto contrarie all’uomo. un esempio storico eclatante di come morale e legge non sempre coincidano, e che in casi estremi prevalga comunque l’etica lo abbiamo con il processo di Norimberga dove gli esecutori degli ordini e delle azioni più efferate furono condannati non sulla base delle leggi che, formalmente, gli avrebbero permesso di compiere i crimini che avevano commesso, quanto dei principi del diritto naturale».

Il filosofo Pietro Barcellona, docente presso l’Università di Catania, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ha spiegato che su questi argomenti bioetici non si contrappongono «una visione cattolica e una visione laica, ma una visione laica che si identifica con la conoscenza scientifica del tempo e che non conosce alcuna interrogazione sul senso della vita, e una concezione antropologica fondata sull’appartenenza di ogni essere umano ad una comunità che elabora il proprio stare al mondo». I temi bioetici, ha continuato, «sono tutti argomenti che possono essere affrontati senza alcun riferimento ai testi sacri e alle confessioni religiose, bensì sul terreno di una seria analisi delle componenti psicologiche e culturali della nostra condizione umana». La sua riflessione si è posata in modo molto interessante sui problemi della fecondazione assistita e il concetto di “madre surrogata”, rispetto alla tematica delle unioni civili ha espresso «perplessità» riguardo «l’attuale dibattito sul riconoscimento delle coppie omosessuali come una forma di nuova famiglia. Personalmente ritengo infatti che vadano regolamentati i diritti economici relativi ad una convivenza protratta nel tempo, ma penso che l’adozione di un bambino da parte di una di persone dello stesso sesso rischi di produrre nella rappresentazione mentale del giovane una lacerante distorsione fra l’attitudine a svolgere ruoli femminili e maschili, paterni e materni, e la realtà di una coppia fondata su una somiglianza senza differenza».

Concludiamo con una curiosa riflessione dello psicologo Jesse Bering apparsa sul blog di “Scientific American, nella quale si teorizza che l’avanzamento del processo di «normalizzazione delle forme adulte di relazioni omosessuali» e «il crescente sostegno pubblico per il matrimonio gay porterà, ironia della sorte, al declino finale della popolazione omosessuale». Questa speculazione di Bering c’entra poco con il resto dell’articolo, ma se le conclusioni dovessero rispondere al vero sarebbe una situazione davvero paradossale.


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