di Pablo Larrain
con Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro
Cile, Usa 2012
genere: drammatico
durata, 110'
Se quella portoghese che tolse di mezzo António de
Oliveira Salazar e la sua dittatura fu definita la Rivoluzione dei
garofani per il carattere pacifico del suo svolgimento, avvenuto senza
spargimento di sangue, allora, quanto accaduto nel 1988 in Cile, dove il
dittatore militare Augusto Pinochet fu costretto a rinunciare al
controllo dello Stato su pressione della comunità internazionale e in
seguito ad un referendum che, di fatto, espresse il suo "no" ad un
eventuale rinnovo del suo mandato, potrebbe definirsi la rivoluzione
dello spot pubblicitario. Definizione alquanto pittoresca ma attagliata
al meccanismo messo in piedi da un manipolo di coraggiosi che,
sfruttando la possibilità di confrontarsi con la macchina del potere,
costretta a concedere (dalle pressioni internazionali) all'opposizione
una visibilità di 15 minuti settimanali per tentare di convincere la
popolazione sulle ragioni del dissenso, riuscì a colpi di spot
pubblicitari nella improbabile impresa.
A dirigere l'attacco mediatico è il giovane e talentuoso pubblicitario René Saavedra, deciso a mettere da parte le sicurezze di una carriera di successo e l'apatia che spesso ne consegue, per affrontare un'operazione rischiosa non solo per la scarsità dei mezzi a disposizione, irrisori rispetto agli avversari, quasi sempre radunati nelle stanze del potere con uno stuolo di consiglieri, militari e faccendieri pronti a tutto pur di soddisfare le esigenze del padrone, ma, soprattutto, per il pericolo di una recrudescenza che non si farà attendere e si manifesterà con intimidazioni personali e nei confronti della sua famiglia. Non siamo all'uomo solo contro tutti ma certamente il film di Pablo Larrain ricorda molto un certo filone di cinema politico americano, da "Tutti gli uomini del Presidente" a "Il candidato", dove l'analisi dei meccanismi del potere, della manipolazione del consenso - perché anche qui, seppur a fin di bene, i buoni combattono usando le stesse armi del nemico - si esprime soprattutto come impresa individuale, delegata dalla collettività alle qualità del singolo inquadrato in un'area sacrificale che, seppur priva della retorica mainstream, non ne disdegna la resa emotiva e l'empatia con il pubblico.
Girato con una cinepresa d'epoca che conferisce alla pellicola uno stile vintage, con colori ed atmosfere assolutamente simili alle telenovalas che a suo tempo imperversavano anche nella televisione italiana, "No", pur scegliendo un registro pienamente realistico, sia nella ricostruzione dei fatti che in quello della messa in scena, ha dalla sua un'originalità straniante che gli deriva dai continui inserti, di repertorio o camuffati ad arte, che tanto nelle scene di massa girate nella strada e riferite alle manifestazioni ed alle violente repressioni militari - quella relativa alla giornata del referendum quando in un ultimo sussulto di onnipotenza Pinochet chiama l'esercito a disperdere l'esultanza della piazza in attesa del verdetto è girata da manuale del combact cinema - ma soprattutto in quelle di derivazione televisiva, coloratissime, un po' demodè e con il linguaggio degli slogan, si oppongono per clima, estetica e significati agli avvenimenti in corso d'opera.
Ultimo episodio di una trilogia dedicata al Cile della dittatura (dopo "Tony Manero" e "Post Mortem"), "No" è un'opera ben fatta anche se forse un po' in ritardo rispetto al presente di un paese che ha voltato pagina rispetto a questo pezzo della sua storia. Gabriel Garcia Bernal, attore-divo premiato prima della proiezione del film, ha espresso la sua soddisfazione per aver partecipato per la prima volta ad un film politico. E' sua la faccia che traghetta la narrazione attraverso i fatti realmente accaduti. Un volto pulito e popolare ma senza il carisma necessario per interpretare un ruolo così importante. (pubblicato su ondacinema.it/speciale festival di Locarno 2012)






